Nella galleria 5 del MAXXI di Roma, immersa nelle linee sinuose dell’architettura concepita di Zaha Hadid, apre le porte al pubblico la nuova esposizione del museo dedicato ai linguaggi artistici del contemporaneo. I nuovi protagonisti dell’evento sono i tre finalisti del prestigioso MAXXI BVLGARI PRIZE, premio con ormai una storia consolidata – Nato nel 2000 come Premio per la Giovane Arte, il Premio costituisce il punto di partenza e la nascita della Collezione del MAXXI Arte – si è dimostrato nel tempo un importante trampolino di lancio per molti giovani talenti del panorama artistico contemporaneo.

Le luci dei riflettori sono quest’anno riservate per Alessandra Ferrini (Firenze, 1984), Silvia Rosi (Scandiano – RE, 1992) e Namsal Siedlecki (USA, 1986), che accompagnati dalla curatrice Giulia Ferracci danno forma ad una riflessione fortemente radicata nel presente e che si dimostra capace di scardinare la Storia, la Società, la Natura con l’obiettivo di comprendere al meglio una contemporaneità in costante evoluzione.
La prima parte del percorso espositivo, all’ingresso della Galleria 5, accoglie lo spettatore in una Archive Room in cui, su pareti caratterizzate da un motivo che ricorda l’antica arte giapponese del Kintsugi, tre teche raccolgono materiali e appunti che hanno ispirato gli artisti nella realizzazione dei loro lavori.
Il percorso espositivo si apre con Gaddafi in Rome: Notes for a Film, di Alessandra Ferrini, una video installazione che analizza la prima visita ufficiale in Italia del dittatore Muammar Gheddafi nel 2009, per celebrare la collaborazione tra Italia e Libia. Questo accordo si dimostra nel tempo punto d’origine della politica dei respingimenti dei migranti di cui ancora oggi l’intera comunità europea porta la macchia della colpa.
Partendo dal meticoloso reportage realizzato in quei giorni di visita ufficiale dal quotidiano La Repubblica – occasione per l’artista di una riflessione sulle forme contemporanee di produzione e fruizione delle notizie – Gaddafi in Rome opera una vera e propria dissezione della “messa in scena” dell’evento, ispirandosi direttamente alla pratica delle dissezioni pubbliche nei Teatri Anatomici dal Medioevo in poi, di cui resta una citazione nella tenda che compone parte dell’allestimento, su cui è stampata l’immagine del Teatro Anatomico dell’Università di Padova.

Sollevando temi come il rapporto tra velocità di comunicazione e reale comprensione di eventi geopolitici complessi, la spettacolarizzazione mediatica degli eventi, il travagliato rapporto dell’Italia con il suo passato coloniale, Gaddafi in Rome è un invito a una riflessione più ampia, che non da soluzioni, ma lascia agli spettatori lo spazio per trarre le proprie conclusioni.
Il percorso continua con Nuovo Vuoto di Namsal Siedlecki, un viaggio metaforico nato dall’interesse dell’artista per gli spazi vuoti all’interno delle sculture in bronzo fuse a cera persa. Partendo da una di queste forme interiori – ricavata da una mano bronzea comprata online – Siedlecki parte alla ricerca della “scultura originaria” che la custodiva. Tramite scansioni in 3D e ricomposizioni vettoriali, e grazie all’uso di tecnologie robotiche, l’artista realizza 6 opere composte da una scultura e il suo plinto, ogni volta in materiali diversi.
Il mancato intervento dell’uomo ha lasciato ogni volta, nelle forme generate dalle macchine, errori che ne hanno trasformano le successive realizzazioni: un modo per l’artista di rappresentare la sequenza di esperienze che ci ha portato a essere quello che siamo. Solo nella consapevolezza del passato, infatti, è possibile iniziare un nuovo percorso di coesistenza.

Conclude la mostra il progetto di Silvia Rosi, artista italo-togolese che ha trovato nella fotografia una pratica di ricerca sulla memoria, per comprendere come ricordiamo e perché dimentichiamo. La sua ricerca, che attraverso video e fotografie affronta la storia della sua famiglia e la sua eredità identitaria, in questa occasione si esprime in un progetto dedicato alle lingue Ewe e Minà, un tempo parlate in Ghana e Togo. Nonostante il tentativo operato dai colonialisti di lingua francese e tedesca di sradicarle attraverso l’alfabetizzazione delle popolazioni autoctone, l’ewe ha resistito nei secoli grazie alle famiglie, a numerosi studi linguistici, e a pratiche artigianali che vedevano inserite frasi in ewe come decorazione dei tessuti degli abiti.
Il lavoro di Rosi, composto da tre gruppi fotografici e video, mette in evidenza l’importanza della lingua nel processo di affermazione identitaria di una popolazione e degli individui, e riflette su questioni strutturali normalizzate dai processi coloniali avvenuti in Togo, sottolineando come la politica linguistica metta in luce tutta l’ambiguità del progetto coloniale di conversione delle popolazioni autoctone.
A settembre 2022 la giuria valuterà i lavori presentati e nominerà il vincitore e l’opera selezionata verrà acquisita dal museo.






Info: https://www.maxxi.art/events/maxxi-bvlgari-prize-2022/
23 giugno – novembre 2022
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo
Via Guido Reni 4/a, Roma