Un flusso di coscienza che si palesa come una presa d’atto senza pretese sulla street art, uno scorrere di parole che tuonano a volte come monito profetico, a volte come una consapevolezza goliardica: l’ultimo libro dello scrittore e artista palermitano Vincenzo Profeta, già autore di Palermo Male, si determina come unico del suo genere perché il primo contro a un movimento celebrato da fiumi di letteratura e che sempre più si afferma come tra i più graditi dal pubblico.
Dal taglio più poetico ed artistico che saggistico, caratterizzato da una sintassi libera dove le soventi enumerazioni si manifestano come un susseguirsi di riflessioni, questo pamphlet racchiude una serie di spunti ed intuizioni raccolte dagli anni dall’autore, il quale, a partire da un articolo sulla street art di qualche anno fa, decide di misurarsi con la suddetta materia sfogandosi contro di questa. Sebbene i toni ed i continui rimandi contro il sistema dell’arte, l’opera non costituisce un attacco contro un genere come nelle pratiche letterarie degli anni 90, né pretende di avanzare una mera critica contro un movimento che di per sé è storicizzato. Riallacciandosi alla gonzo- letteratura, inaugurato da Hunter Stockton Thompson negli anni 70, B.R Ammazate Banksy, si presenta agli occhi dei lettori come uno scritto disilluso quanto un pretesto per redigere un testo privo di velleità accademiche.
Sostanza ibrida come ambivalente è la stessa natura del suo autore, membro del Laboratorio Saccardi che ha esposto recentemente un non di meno provocatorio carretto presso il Complesso monumentale di Santa Maria dello Spasimo in occasione delle celebrazioni del trentesimo anniversario della strage di Capaci, lo scritto cerca di offrire una visione futura, profetica quanto surreale dove il tempo è sospeso. Non per ultimo, l’opera costituisce un omaggio al Signor Enzo, il graffitaro palermitano che amava scrivere sui muri di tutta Italia e Europa le famigerate lettere “B.R” accompagnate da un personaggio famoso o da un sostantivo e dal quale deriva il titolo stesso del pamphlet. Il signor Enzo, scomparso nel marzo del 2021 costituisce l’unica “nota positiva” dell’intero scritto, in quanto l’autore in questione viene considerato come l’autentico artista che traccia dei segni nella città al pari dell’uomo primitivo che realizzava nelle incisioni rupestri nelle grotte dell’Addaura. L’artista incarna infatti nella genuinità del suo atto artistico il primo e l’ultimo uomo come il vero graffitaro e street artist che si aggira nell’ombra- lo stesso nome Signor Enzo non fa riferimento ad una tag in particolare o ad un appellativo richiesto dall’artista- e che ricusando le luci dei riflettori o i flash delle foto degli smartphone trova il suo riscatto personale nella forza di un gesto dettato da uno sfogo tradotto in segno contro la società e tramite cui si libera della desolazione umana.
Profeta valorizza la veridicità di tutte quelle scritte diffuse nelle città avulse dalle dinamiche del sistema dell’arte e dei suoi maggiori attori. Ponendo l’accento sull’origine del movimento inteso come fenomeno di rivolta da parte dei giovani delle grandi metropoli statunitensi, in particolare New York, i quali sporcavano la città per protestare contro la società che li emarginava, ne denuncia la deriva opposta. Ad artisti contro il sistema adesso si contrappongono creators totalmente inseriti in musei e gallerie e che godono dei finanziamenti pubblici per riqualificare parti delle città che spesso nemmeno appartengono loro.
L’autore muove un’aspra critica soprattutto all’ormai indissolubile connubio che unisce gli street artists ed i social networks: vede infatti quest’arte, contrariamente al resto dell’arte contemporanea, perfettamente “instagrammabile” ed in quanto tale totalmente condizionata da tali piattaforme le quali influenzano le valutazioni dell’arte al pari dei critici ed esperti del settore. Viene così rivelato la presenza di un vuoto nella critica d’arte che non riesce ancora a consolidare dei parametri di analisi della street art come anche l’assenza di vere e proprie organiche scelte curatoriali nei contesti espositivi e museali (soprattutto per quest’ultimi sembra di assistere a “gare” nel far entrare in collezione l’artista più in voga invece che quello più autentico).
Un altro aspetto aspramente manifestato dall’autore è quello della “brandizzazione” di questa tipologia di “arte”: lo stesso Banksy, il nome più noto associato a tale movimento, per quanto sia celato da un apparente mistero, non si tratta che di una grossa operazione commerciale, che secondo l’autore, vede dietro Damien Hirst, il quale propone dei contenuti populisti che non muovono alcuna reale critica sociale, lontana da coordinate storico-artistiche contemporanee. La street art tanto celebrata sui social, in svariati programmi televisivi e stampata su rivisti e libri, è semplicemente un fenomeno popolare vuoto, apprezzabile ai più proprio perché non necessita particolari sforzi intellettuali: è un prodotto premasticato e bombardato ovunque per essere assorbito da tutti con prepotenza. L’arte urbana come la intendiamo oggi ha perso il suo antico smalto per diventare per lo più comunicazione e trovata pubblicitaria. Esiste però un’unica via di uscita: spegnere la televisione, il PC e lo smartphone e godere di quei segni- alla Signor Enzo – lontani da sovrastrutture ufficiali e pertanto ancora puri che ancora la città è in grado di offrirci.