Crisi Energetica: Montesi (TEP Renewables) “accelerare sulla transizione. Se non ora quando”

L’Ad di TEP Renewables sottolinea i problemi e descrive i confini della attuale fase richiamando la politica e tutti i soggetti coinvolti alle proprie responsabilità: “il ricorso all’agrivoltaico scelta non più rinviabile”

L’Ad di TEP Renewables sottolinea i problemi e descrive i confini della attuale fase richiamando la politica e tutti i soggetti coinvolti alle proprie responsabilità: “il ricorso all’agrivoltaico scelta non più rinviabile”

Leonardo Montesi

di Guido Talarico

La transizione ecologica e la transizione energetica non sono temi da ambientalismo snob”. Comincia così, senza peli sulla lingua, la nostra conversazione con Leonardo Montesi, il fondatore e proprietario di TEP Renwables, una giovane ma molto performante azienda britannica attiva nel mondo delle rinnovabili,  e molto presente anche sul mercato italiano avendo uffici a Roma, Palermo e Cagliari. Montesi in questi mesi di crisi energetica dovuta al conflitto ucraino si è messo alla testa di quegli operatori che chiedono di accelerare a tutto tondo sulle energie rinnovabili. Sua la frase, divenuta uno slogan, se non ora quando”.

Lo incrociamo a margine di un convegno svoltosi a Catania sul tema dell’agrivoltaico, patrocinato dalla Regione Sicilia. Montesi è un imprenditore illuminato e pragmatico. E’ anche un uomo schietto e lo si capisce dalla prime parole: “L’aumento della generazione da fonte rinnovabile e lo sfruttamento dell’energia solare attraverso il ricorso all’agrivoltaico sono scelte non più rinviabili. Le idee sulle cose da fare per realizzare quella che è anche una rivoluzione culturale ci sarebbero pure. Bisogna trovare il coraggio per tradurle in provvedimenti di legge. E’ per questo che vado ripetendo che se le cose non si fanno ora non si faranno più”.

Nella nostra intervista Montesi parte da dati incontestabili: “La vita sulla terra – dice – è alimentata dall’energia e oltre l’80% dell’energia necessaria a fare funzionare l’economia mondiale (sistema produttivo, trasporti, agricoltura, consumi civili) è ancora oggi fornita dalle fonti fossili che sono controllate da alcuni Paesi e che non essendo rinnovabili sono comunque destinate un giorno a finire. Per garantire prosperità e sviluppo, diventa quindi categorico per i Paesi europei individuare soluzioni che consentano di disporre di energia a buon mercato senza compromettere ulteriormente l’ambiente. Se l’Italia non avesse smesso nel 2012 di investire nelle rinnovabili e avesse accelerato l’elettrificazione dei consumi avrebbe evitato il caro bollette e gli effetti disastrosi che sta provocando sulla competitività delle imprese e i bilanci delle famiglie”.

In queste poche parole c’è tutta la questione energetica del momento. Eppure la politica sembra non capire, gli interessi, enormi, dei produttori di carburanti fossili sembrano prevalere.

Non ha più nessun senso puntare sui combustibili fossili, comunque destinati ad esaurirsi, mentre – spiega Montesi – è vitale aumentare la produzione di energia verde, l’unica che garantisce accesso universale e sicurezza energetica.
Si parla di sicurezza energetica perché l’energia è diventata un tema di sicurezza nazionale e questo non lo dico io ma lo ha stabilito il COPASIR votando all’unanimità una relazione sulla sicurezza energetica nell’ambito della transizione ecologica”.

Montesi, ricordando come il nostro sia il paese dei “no”, spiega come questo atteggiamento ci abbia reso schiavi di paesi come la Russia.

L’Italia – dice – non ha risorse fossili in grado di soddisfare il suo fabbisogno, o quantomeno non le ha in quantità sufficiente (negli anni ’90 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas che rappresentano quasi il 50% dell’import dalla Russia ma oggi sono diventati 9). Puntare sul gas anche solamente nel breve medio periodo significherebbe sostituire una dipendenza con un’altra. L’Italia – prosegue Montesi – dispone in abbondanza di acqua, sole e vento. Sostituire le fonti di generazione convenzionali con fonti rinnovabili, quali fotovoltaico ed eolico, e aumentare il grado di elettrificazione dei consumi dovrebbero essere la logica risposta alla crisi che stiamo vivendo e anche la soluzione per evitare che possa ripetersi in futuro”.

Certo qualcosa è cambiato, Draghi si è mosso. Ma per Montesi non è abbastanza:

È vero – dice – che il governo italiano e il Presidente Draghi in particolare, continuano a dichiarare che le rinnovabili sono indispensabili per raggiungere l’indipendenza energetica a cui tendiamo. Gli investimenti in eolico e fotovoltaico in Italia però sono praticamente fermi da anni e non certo per una mancanza di interesse da parte degli operatori del settore. Il Politecnico di Milano ha lanciato poche settimane fa l’allarme. Mentre l’Europa procede a passi molto spediti ed è ormai prossima al traguardo complessivo dei 700 GW di capacità da fonte rinnovabile installata, (va detto che 9 dei 10 paesi che a livello mondo hanno il rapporto più alto dell’energia generata da fonte rinnovabile sul totale dell’energia prodotta) l’Italia invece è ferma. La quantità di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici in Italia è solo di poco superiore a quella del 2019. Di questo passo, al 2030 avremmo un parco eolico e fotovoltaico di poco superiore ai 50 GW, rendendo impossibile l’obiettivo (aumentato con il PTE, il Piano per la transizione ecologica) di un installato totale di rinnovabili tra i 125 e i 130 GW”.

Su questo aspetto l’Ad di TEP Renewables è un fiume in piena.

Secondo i dati di Legambiente – ricorda Montesi – sono più di 1400 i progetti di impianti eolici e fotovoltaici in attesa di valutazione. Terna dice che le domande di connessione di nuovi impianti che non sono ancora stati allacciati alla rete arriva a 150 GW e va sottolineato che basterebbe realizzarne meno della metà per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2030. Ma perché gli impianti sono bloccati? La vulgata popolare dice che sia la burocrazia a frenare. Ci sono troppi enti coinvolti, bisogna semplificare. E lo scorso anno è stato fatto.  Ci hanno venduto – spiega Montesi – il decreto semplificazioni come la soluzione di tutti i problemi ma non è stato così. Le pratiche hanno smesso di impolverarsi sui tavoli regionali e provinciali per essere definitivamente sepolte nei cassetti del MiTe e del Ministero della Cultura”.

Sul tema dei ritardi Montesi è ferratissimo, non fosse altro per esperienze vissute con le sue aziende.

Per fare partire l’iter autorizzativo di 2 impianti in Puglia, già presentati in Regione nel 2020 senza che l’iter si fosse concluso – racconta – la mia azienda è stata costretta a fare ricorso al TAR per accertare l’illegittimità del silenzio serbato dal Ministero a fronte dell’istanza di avvio della procedura di VIA. Con il solito trucchetto il MiTe ha fatto partire i procedimenti pochi giorni prima dell’udienza facendo venire meno la materia del contendere. Oltre ad essere incivile e barbaro, l’essere costretti a fare causa allo Stato per ottenere il riconoscimento di un diritto, è stato comunque inutile. A distanza di 3 mesi entrambi gli iter autorizzativi si sono nuovamente fermati e per farli ripartire dovremmo presentare nuovi ricorsi. Il problema non è la burocrazia tout court e la soluzione non sono solo le semplificazioni. Ci vuole una politica energetica chiara e delle regole per attuarla. Se il governo centrale intende rispettare l’obiettivo di installare 70 GW di impianti da fonte rinnovabile deve dire chiaramente dove possono essere realizzati, sia in termini geografici che in termini di caratterizzazione delle aree, deve adeguare i piani di sviluppo della rete elettrica nazionale alla dislocazione sul territorio della nuova capacità rinnovabile e soprattutto deve stabilire dei criteri uniformi per la valutazione dei progetti perché la valutazione di un progetto non può essere lasciata alla discrezionalità del singolo funzionario che istruisce la pratica”.

Montesi entra anche nel dettaglio di ciascuno di questi temi.

Un passaggio cruciale per il raggiungimento dei target è innanzitutto la revisione della ripartizione degli obiettivi di installazione di nuova capacità rinnovabile tra le regioni italiane. La legge è del 2012 e gli obiettivi non sono più adeguati. Se l’obiettivo dei 70 GW deve considerarsi confermato, è necessario poi prendere coscienza che questo obiettivo è totalmente irraggiungibile senza l’inclusione dei terreni agricoli tra le aree idonee.

Parlando di agrivoltaico il fondatore di TEP Renewables ricorda che “per realizzare impianti a terra in aree a destinazione agricola è necessario che siano adottati i nuovi criteri di progettazione degli impianti che consentono un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica. Da questo trae spunto il cosiddetto “agrivoltaico” che non è una tecnologia o una soluzione tecnica specifica ma identifica genericamente tutte le soluzioni tecniche che combinano infrastrutture agricole e fotovoltaico: dalle serre fotovoltaiche, all’agro-fotovoltaico con fasce ed isole arboree finoall’agrivoltaico con moduli verticali e sospesi”.

Montesi quindi affronta il tema dei piani di sviluppo per i gestori di rete.

“Sarebbe opportuno – dice Montesi – che il Governo chiedesse a Terna di esprimersi sulla coerenza tra il programma di sviluppo della capacità di generazione da fonte rinnovabile e la situazione della rete elettrica nazionale e  il suo programma di sviluppo (che prevede altro). Molti dei preventivi di connessione che vengono rilasciati prevedono importanti interventi sulla rete (nuovi elettrodotti, rafforzamento di quelli esistenti, nuove stazioni di trasformazione, etc) che non rientrano nel piano industriale di Terna e che a loro volta devono essere autorizzati, finanziati e realizzati in tempi spesso già incompatibili con gli obiettivi 2030. Sarebbe grottesco sbloccare 70 GW di impianti rinnovabili e poi accorgersi che la rete elettrica nazionale non è in grado di assorbire e dispacciare quella potenza”.

Infine i criteri di valutazione dei progetti.

È necessario stabilire – dice Montesi – un criterio uniforme per valutare la compatibilità ambientale dei progetti. La grande sfida è bilanciare le esigenze del paesaggio con le esigenze dell’economia industriale e la sicurezza energetica. La Germania ad esempio, che ha una legge severissima sulla difesa della natura, ha un piano legislativo per raggiungere il 100% di fonti rinnovabili per la produzione di elettricità entro il 2035 destinando il 2% dell’intero territorio tedesco solamente all’installazione di eolico onshore. Il loro ministro della transizione ecologica ha dichiarato che se vogliamo difendere il paesaggio dobbiamo considerare che i cambiamenti climatici causati dalle emissioni lo stanno devastando. Per difendere il paesaggio bisogna quindi abbandonare il fossile e sostituirlo con le rinnovabili. 
In Italia invece per il momento il Ministero della Cultura difende a oltranza il mantenimento dello status quo, a qualsiasi costo e a prescindere. Sarebbe imperdonabile però trasformare il paesaggio e il patrimonio culturale in un piombo nelle ali di quel procedimento di modernizzazione e di progresso che già in Italia sconta ritardi atavici. Il paesaggio non può essere trattato come un museo ma deve essere considerato alla stregua di un organismo vivente. Un organismo vivente che, in quanto tale, deve poter mutare, in maniera razionale e controllata. Come mutano i costumi, le norme e come mutano i tempi. Per questo serve un ambientalismo progressista. Per tutelare seriamente l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e il clima. Anche nell’interesse delle future generazioni. Serve quindi un grande patto sul paesaggio e bisogna trovare rapidamente una quadra tra tutti gli attori”.

Prima di concludere Montesi fa anche un accenno alla questione della restituzione del risparmio in bolletta.

La transizione energetica, per diventare fenomeno che scalda i cuori – dice Montesi – deve portare benefici concreti al consumatore. La generazione da fonte rinnovabile ha un costo al kWh ovviamente inferiore alla generazione convenzionale. L’aumento della percentuale delle rinnovabili sul mix di produzione riduce ovviamente il costo medio di generazione. Bisogna che lo Stato accetti di restituire a imprese e famiglie una parte del beneficio derivante dalla riduzione del costo di generazione derivante dall’aumento del peso delle rinnovabili sul mix per alleggerire le bollette”.

Insomma sembra essere tutto molto chiaro. Ma lo è veramente a chi deve decidere?