Bufera NFT sull’accordo tra gli Uffizi e la società Cinello, la replica del museo: “Il patrimonio è nelle mani della Repubblica Italiana”

Una nota degli Uffizi smentisce le informazioni riportate nell'articolo di Repubblica e fa chiarezza sui rapporti con la società milanese

Dopo la pubblicazione di un articolo di Repubblica ripreso da Inside Art, in cui veniva ricostruito l’accordo stipulato tra gli Uffizi e la società Cinello per la realizzazione di copie digitali di opere d’arte del museo e in cui l’autore sottoponeva ai lettori le problematiche legate all’utilizzo di NFT del museo e all’autorialità delle immagini diffuse, il museo invia una replica in cui smentisce punto per punto le affermazioni riportate nell’articolo di Repubblica. Lo riportiamo di seguito nella sua versione integrale:

A proposito dell’articolo “Tesori svenduti’”, la frenata del Mibac sugli Nft dell’arte”, firmato da Giuliano Foschini e apparso sulle pagine 22 e 23 dell’edizione odierna de La Repubblica, il museo ossserva:

L’autore dell’articolo travisa completamente la questione, perché non ha compreso i concetti tecnologici e giuridici di base che governano la produzione, diffusione e l’eventuale commercializzazione di immagini di beni culturali dello Stato, inclusi quelli certificati con la tecnologia Nft. Prendendo le mosse da un accordo sulla concessione in uso di 17 immagini da parte delle Gallerie degli Uffizi alla società milanese Cinello s.r.l. firmato nel dicembre 2016 (e scaduto nel dicembre 2021), l’autore chiede con allarmismo: “ma ora di chi sono i diritti legati a quell’opera? Se mai il compratore dovesse decidere di esporla, può farlo senza il permesso degli Uffizi? In sostanza: non rischiamo di perdere il controllo del nostro patrimonio in un tempo in cui si va sempre più verso il metaverso?” In realtà il legislatore ha dato delle risposte puntuali e precise a quelle domande già molto prima dell’invenzione (nel 2014) della specifica tecnologia di certificazione in questione, ovvero nella legge Ronchey del 1994, e ancora nel codice Urbani del 2004, oggi in vigore. Come prevedibile, i diritti non vengono in alcuna maniera alienati, il contraente non ha alcuna facoltà di impiegare le immagini concesse per mostre o altri utilizzi non autorizzati, e il patrimonio rimane fermamente nelle mani della Repubblica Italiana.

In maniera scorretta, nell’articolo si afferma che “sebbene nel contratto non si parli di esclusiva, nei fatti c’è una clausola che quasi la disegna”, ma in realtà nel contratto è richiamata in modo esplicito la non esclusività della concessione, nell’assoluta conformità con la normativa applicabile. È del tutto fuorviante l’affermazione che la ditta Cinello “non paga alcun canone” ma “divide gli introiti a metà (una percentuale molto alta per un’intermediazione)”. Infatti, il contraente privato non pratica alcuna “intermediazione” per conto dello Stato, ma agisce nel nome e per conto proprio, senza alcun interesse o investimento del museo. La percentuale a favore del museo non è affatto bassa ma al contrario, con il 50% dei ricavi netti è congruamente alta, dato che le quote per l’utilizzo delle immagini solitamente si aggirano tra il 10% e il 25%, a seconda del prodotto e del mercato specifico per cui viene autorizzato l’uso.

È del tutto fantasiosa la ricostruzione secondo la quale “Gli Uffizi spiegano al Ministero, contratto alla mano, che non è stata data alcuna esclusiva […] ma a Roma non sono convinti.” A parte l’evidenza diretta del testo, l’accordo è stato trasmesso alla Direzione generale competente a Roma nel 2017, come di prassi, e non ha suscitato alcun commento o rilievo. Per giunta, Foschini cita completamente a sproposito un brano da un verbale di una commissione del Ministero della cultura (che sciattamente chiama Mibac, con il nome brevemente in uso durante il governo Conte I), in cui viene attribuito al direttore generale Massimo Osanna l’affermazione che questo e altri casi fossero “estremamente svantaggiosi per l’amministrazione, perché prevedevano l’alienazione della riproduzione del bene.”  Nei fatti, un’alienazione non c’è stata, e non poteva esserci, perché la legge non lo prevede. E un immaginario accordo che dicesse il contrario semplicemente sarebbe nullo. Ma non è stato così. Dagli anni Novanta del secolo scorso, il servizio Permessi delle Gallerie degli Uffizi autorizza decine e decine di utilizzi di immagini di opere  in consegna al museo ogni giorno, ovviamente secondo la normativa in vigore e sempre in maniera non esclusiva: da molti anni anche delle immagini digitali, che sono sottoposte alla stessa disciplina di quelle su carta o altri supporti.