A volte è un sì, seppur timido e pronunciato a mezza bocca, e altrettante volte – o qualcosa di più – un no aperto, una bocciatura senza possibilità di appello quella pronunciata, nei confronti della 45esima edizione di ArteFiera, dagli operatori del settore. Primi tra tutti i galleristi, che non sembrano aver chiuso un occhio di fronte ai prevedibili ritardi nella predisposizione degli stand. Problematiche di carattere pratico, quindi, hanno impedito il corretto svolgimento dell’allestimento nelle sue varie fasi – dal rivestimento delle pareti all’applicazione delle didascalie – e fatto sì che molti espositori storcessero il naso, nonostante la decisione, da parte di BolognaFiere, di abbattere il costo degli stand del 40 per cento.

Oltre alle lamentele “interne”, però, va segnalato anche un riscontro debole in termini di presenza del grande pubblico, prevedibilmente più attratto da altre iniziative condotte in parallelo all’interno di altri padiglioni o, ancora, dalla ricca proposta di ArtCity. L’Opera d’arte vivente, performance concepita dall’artista anglo-tedesco Tino Sehgal per Piazza Maggiore, o ancora l’intervento site-specific del cubano Carlos Garaicoa all’interno degli spazi dell’Oratorio di San Filippo Neri, hanno “rubato” la scena a una fiera recepita come stanca, uguale a se stessa, dalla platea degli habitué. La riproposizione dei “soliti” big in più di uno stand, la mancanza dei principali attori sul panorama privato nazionale, sono solo alcuni tra gli ingredienti che hanno reso ArteFiera un piatto non troppo saporito – ad alcuni addirittura indigesto – e che avranno, per il futuro, delle ricadute che solo il tempo potrà definire in quanto a portata.

A onor del vero, tuttavia, va specificato che l’obiettivo di Menegoi – sin dal suo insediamento – è ambizioso, e che i frutti del suo lavoro non possono (e non devono) essere raccolti nei tempi brevi dell’immediato. ArteFiera, così come tutte le altre rassegne sia nazionali che internazionali, viene infatti ancora percepita – e in parte a ragione – come un’occasione, per alcune gallerie, di mettere in mostra i propri gioielli, come un enorme mercato del lusso e non ancora, come nei piani del direttore, in qualità di motore culturale ad ampio raggio. Anche il rafforzamento del sodalizio con ArtCity è andato risolvendosi in un evidente squilibrio tra le parti, in uno spostamento del baricentro dalle superfici asettiche dei padiglioni al vissuto dei vicoli e dei palazzi cittadini. Non è certamente un caso che proprio alcuni degli eventi performativi scelti da Silvia Fanti per la sezione Oplà. Performing activities – su tutti Unisex, performance di Jacopo Benassi nei bagni della fiera – abbiano convogliato su di loro le attenzioni di un pubblico desideroso di mettersi in gioco anche in contesti storicamente a lui estranei.

La Fiera popolare e inclusiva pensata da Menegoi ha però bisogno di ulteriore tempo per prendere forma, di sperimentazione e, perché no, anche di errori. Per la “rivoluzione” culturale da lui auspicata, servono pazienza, costanza e obiettivi condivisi anche dalle gallerie: in questa direzione sembrano essersi mosse la pescarese Vistamare, vincitrice del premio Arte e Progetto Jacobacci & Partners per un progetto culturale in grado di declinare le sue proposte artistiche, e la milanese Schiavo Zoppelli, che si è aggiudicata il Premio Rotary “per l’allestimento organico e coinvolgente” del suo stand. Esempi virtuosi che, se si vorrà, potranno fare da battistrada. Ma tempo al tempo.
