The Andy Warhol Diaries, è arrivato su Netflix un docufilm sulla vita interiore dell’icona pop

Dall'omosessualità repressa alla paura di invecchiare, dubbi e insicurezze del genio pop vengono svelati nel documentario già disponibile su Netflix

Un nuovo documentario in sei episodi prodotto da Ryan Murphy e diretto dal regista Andrew Rossi, è disponibile dal 9 marzo su Netflix.The Andy Warhol Diaries, questo il titolo del lungometraggio che si concentra sulla vita interiore dell’artista.

A partire dalla sua giovinezza a Pittsburgh, fino arrivare alla fuga a New York all’età di vent’anni, il regista Rossi orchestra gli episodi sugli appunti di The Andy Warhol Diaries, pubblicato due anni dopo la sua morte, nel 1987, da Hackett. Il documentario si struttura come un collage di filmati basati su tre voci del diario che esprimono l’amore di Warhol per tre protagonisti principali: l’intern designer Jed Jhonson, con il quale trascorre 12 anni, il vicepresidente della Paramount Picture Jon Gould, e il pittore Jean-Michel Basquiat.

Una profonda solitudine permea l’intera storia che viene narrata dalla voce dell’attore Bill Irwin, combinata al drone robotico dall’intelligenza artificiale che ha il compito di leggere i brani del Diario.

Nel documentario emerge come la soffocante omofobia da cui Warhol era sfuggito a Pittsburgh è viva e vegeta anche quando arriva a New York. Il modo in cui l’artista reagisce e riesce a sopravvivere è l’alienazione dal mondo dell’arte principalmente etero. «Pensavamo che fosse troppo swish» dice il gallerista Jeffrey Deitch nel primo episodio, facendo emergere il gergo dispregiativo di quell’epoca nei confronti della comunità queer. Nonostante l’enorme fama che Warhol attira per soffocare gli enormi interrogativi sulla propria sessualità, decide di allontanarvisi completamente. «Il modo in cui si presentava era asessuato» racconta Fab Five Freddy, sottolineando come Andy Warhol non permettesse che la sessualità influenzasse negativamente il suo lavoro. Dal docufilm si coglie come, nonostante le immagini omoerotiche dei suoi lavori, come l’artista riesca a convincere le persone che lo circondano che il sesso non sia un argomento di suo interesse, nel tentativo di incarnare un personaggio inattaccabile sotto ogni punto di vista. 

Rossi si concentra anche su un’altra grande sofferenza, ovvero la paura di invecchiare e riconoscersi come persona non attraente dell’artista. Questo timore sempre crescente si va ad acutizzare quando durante gli anni ’80 la carriera di Wahrol si dirige verso il declino. Una fase di risalita si presenta però nel momento in cui l’artista si lega con Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. Dal 1976 al 1987 Wharol chiama il suo amico di lunga data Pat Hackett nei giorni feriali alle 9 del mattino. Da questo scorcio di vita documentata è possibile scoprire un Warhol figlio del suo tempo, influenzato e chiamato a confrontarsi con i problemi storici del suo contemporaneo, fino ad arrivare alle ansie che prendono il sopravvento sulla comunità omosessuale durante l’epidemia di HIV/AIDS, «Non mi sorprenderei se iniziassero a mettere i gay nei campi di concentramento» dice all’amico.

Ad oggi è innegabile l’impatto della ricerca di Warhol nella cultura popolare e secondo il regista Andrew Rossi «La chiave di Andy Warhol è la reinvenzione, nel tipo di dolore di non essere felici di ciò che siamo e dell’aspirazione a essere qualcosa di più grande, ha dato alle persone il permesso di diventare un’altra versione di se stesse».

Trailer: https://youtu.be/geC76ncf66w