Intervista a Riccardo Banfi

Mimesi totale fra il soggetto, il tema e l’autore che realizza il lavoro: fotografia come performance

DA INSIDEART 123

Mimesi totale fra il soggetto, il tema e l’autore che realizza il lavoro: fotografia come performance

Il grosso del nucleo tematico della ricerca fotografica di Riccardo Banfi è incentrato sulla cultura club e sulle sottoculture giovanili. I lavori raccolti su questi soggetti raccontano di una simbiosi fra l’immagine, la sua forma, e il tema rappresentato. A colori o in bianco e nero le fotografie mostrano, a volte, i segni di impedimenti più o meno espliciti nel realizzarle: corpi tagliati, scatti fuori bolla, personaggi sfocati: «Mi sono sempre divertito – racconta Banfi tracciando una linea di identificazione fra arte e vita – quando sono andato a ballare. Mi piace più che altro l’esperienza della comunità, l’energia che si crea quando ci si trova insieme». Si percepisce dalle immagini questo stare nella folla, corpo stretto fra i corpi, questo condividere uno spazio d’azione ridotto, un’area che diventa più stretta e condiziona l’esecuzione dello scatto: dove perde in perfezione formale guadagna nel trascrivere un’atmosfera. 

Più simile quindi a una specie di performance le azioni di Riccardo Banfi non possono essere svincolate dal modo di esecuzione: «Tutti i miei lavori – conferma – derivano da qualcosa che conosco davvero, che capisco in profondità. Per tirare fuori qualcosa di buono non devi vedere da lontano, devi starci dentro, se hai a che fare con una sottocultura è meglio che tu stesso ne faccia parte». Le foto di Banfi hanno un qualcosa di claustrofobico dovuto a un doppio restringimento visuale: di tutto il mondo, il mondo che sta dentro una scatola; di tutta la scatola, quello che l’obiettivo fotografico dalla pista riesce a immortalare. 


2012: A Reminiscence, 2021, Courtesy Riccardo Banfi

La doppia segmentazione della realtà ha però un potentissimo pregio: descrive la vicinanza, fa sentire una comunità. E proprio quella scatola nera, chiusa, ermetica alla luce solare, si trasforma allora in una sorta di metafora allucinata della fotografia stessa. L’oscurità della macchina fotografica, la stessa della camera oscura, entrambe allergiche alla luce e come la discoteca teatro di magici rituali svolti al buio, si mettono in fila in una sfumatura di nero realizzata da Banfi. L’incipit del video 2012:A Reminiscence (2021), realizzato per la mostra After Club curata da Giulia Bini nello spazio romano COLLI, sembra raccontare proprio la genesi della fotografia nei suoi due elementi primari: la luce e il buio. Nel nero indefinito, infatti, raggi di luce blu vagano nel buio: tracciano cerchi, definiscono rette, sembra la definizione di fotografia, sembra la definizione di una serata in un club. 

«Per la mostra – spiega Riccardo Banfi – oltre al dittico fotografico presentato: Let’s dance/Hand (Riot), (2016-2017), avevo molto materiale video d’archivio da utilizzare; con la curatrice abbiamo pensato di elaborarlo per la mostra senza mostrarlo nella galleria ma mettendolo online come una sorta di allargamento/proseguimento dell’esposizione. «Il video montato – continua – raccoglie l’archivio di una serata nel 2012, è un ricordo di una vecchia notte in un club, fra dettagli, folla e cubiste. Vuole essere anche qualcosa di più di una memoria personale, e in generale, ricordare quando era possibile, prima della pandemia, partecipare a questi eventi in quella forma». 

Questa doppia reminiscenza: personale e collettiva, è chiara nel tono malinconico che prende il montato verso il minuto finale: «Il video si chiude – illustra Banfi – con un minuto incentrato su una cubista, presentata da sola, danzante sul palo e con la musica composta da Death in Plains aka D1000p (Enrico Boccioletti) che assume una sfumatura nostalgica poi chiusa violentemente da un flash bianchissimo». 

E su quella solitudine ambigua, perché definita da una cornice di presenze, si concentra il recente lavoro di Banfi: Sunshine Noir (2017-2020) che misura una distanza dal mondo dei club e mira a descrivere soggettivamente una città: Los Angeles. «Ho vissuto lì per due anni – ricorda Banfi – e ho provato a raccontare i forti contrasti di questo luogo capace di farti vivere una solitudine immensa come anche una certa facilità nell’incontrare gente. Ma in generale Los Angeles vive di conflittualità: sociale, urbana, naturalistica». Sunshine Noir è anche un libro stampato con il supporto di SAM–Sampling Moods e presenta una nuova direzione artistica di Riccardo Banfi. Le foto raccolte infatti mostrano uno sguardo diverso dell’artista: a volte largo, perfettamente composto. «C’è anche – dice Banfi confermando la performatività intrinseca nel suo lavoro – un approccio diverso. Nel club sei in un groviglio di corpi, limitato nello spazio e nel tempo; a Los Angeles mi sono preso tutto il tempo e lo spazio di cui avevo bisogno per fare quello che volevo». 


Let’s dance/Hand (Riot), 2016-2017, Courtesy Riccardo Banfi

Cambia l’altezza dello sguardo: in piedi, nelle serie dedicate ai club; seduto, in quelle di Los Angeles. In entrambe, e di nuovo, una mi- mesi totale con il tema rappresentato: la posizione eretta naturale in discoteca e quella seduta a Los Angeles. «Nella città – spiega l’artista – è normale passare molto tempo in macchina. Los Angeles è immensa e spesso si guida alme- no per un’ora per raggiungere qualsiasi destinazione. La stessa Los Angeles quindi viene vista per lo più dal sedile di un’automobile e spesso nel paesaggio che scorre nel finestrino c’è poco da guardare: solo autostrade». 

È quindi una visione a metà altezza, fatta di metà corpi, spesso soli, raramente riuniti in gruppo, a volte solo manichini, metà palazzi e ovviamente metà macchine. La vicinanza con i protagonisti nelle serie dei club scompare e scopre una distanza che si misura in solitudine geografica e sociale. «Poi, chiaro – continua Banfi – Los Angeles è un posto stupendo: è un melting pot di culture, si possono assaggiare cibi da tutto il mondo, si affaccia sull’oceano, a due passi c’è il deserto, c’è un clima perfetto, una bellissima luce e poi, naturalmente, Hollywood. Quello che mi ha colpito è proprio questo contrasto, ricalcato anche nel titolo, che ho cercato di raccontare in un modo intimo e personale evitando la retorica». Sunshine Noir come il dittico finalista al Talent Prize Let’s dance/Hand (Riot) segnano un nuovo percorso nei lavori di Banfi non più, non solo, concentrato sulle sottoculture: «L’ambiente del club l’ho vissuto abbastanza e ci sarebbe molto altro da dire; ho però anche altri interessi e al momento sto lavorando a diversi progetti». 

Wildlife, Tnx series, 2013, Courtesy Riccardo Banfi

Info: http://www.riccardobanfi.com/category/commercial/