Da Insideart 122
Viaggio in Siberia tra postfotografia, mockumentary e Google Maps
«È comparsa da lontano – scrive Paolo Rumiz in Trans Europa Express – una trinità di ciminiere. È Nikel’, inconfondibile, la città dell’industria consacrata da Stalin a quell’unico dio minerale. […] Qui nello spazio artico è come se la stessa tavola degli elementi di Mendeleev assumesse poteri totalitari sugli umani. Nikel’ è il disastro ecologico, si annuncia con montagne di detriti, monconi di alberi, la tundra mangiata come da un enorme lanciafiamme, condomìni attorno alle fabbriche e poi, terribili, i cimiteri tra gli alberi morti, con le lapidi circondate da piccole cancellate blu, irreali, una per ciascun morto». Ci sarà passato sicuramente, per Nickel’, Ivan Putnik, camionista russo che durante le sue interminabili traversate nelle sterminate lande siberiane, lungo quell’intera cerniera settentrionale che scotta di ghiaccio e che lega Europa e Asia, trova sempre il tempo per fermarsi e scattare fotografie. La sua storia e il suo diario visivo sono stati trattati da Vaste Programme, collettivo artistico italiano, che ne ha favorito la scoperta e la divulgazione in forme multimediali.

«Dopo aver raccolto le immagini – spiegano gli artisti – abbiamo subito pensato a un libro-diario fatto di fotografie e annotazioni». Presto però arriva la vera scoperta: tutto è giocato su una finzione controllata: «In realtà – aggiungono – sfogliando il libro si evince che le immagini sono state prese da internet, da Google Maps e Street View. Si tratta di foto sferiche caricate e geolocalizzate da utenti comuni. Così ne abbiamo fatto una selezione, con l’intento iniziale di capire il punto di vista fotografico di chi quelle zone le vive e intorno a quelle immagini abbiamo creato un itinerario verosimile e la storia fittizia di Ivan».
A guardare Google Maps, per noi che non abbiamo permessi speciali per attraversare quelle zone, sembra che i viaggi di Putnik siano una questione tra l’uomo, il suo camion e una natura incontaminata: «È impressionante – aggiungono gli artisti – la discrepanza tra la sfera azzurra di Google Maps, il verde e il mare, e la presenza umana e artificiale, industriale, che invece emerge dalle foto: ad esempio il porto di Sabetta, nella penisola di Jamal, visto in mappa sembra un’immensa distesa naturale, ma invece la realtà, anche quella fotografica, racconta di un ciclo scandito da sfruttamento, mostruosità industriali e abbandono».

Sebbene la riflessione etica e sociopolitica venga stimolata dalle iconografie di queste foto, alla base di The Long Way Home of Ivan Putnik,Truck Driver c’è soprattutto la volontà di lavorare con e sul mezzo fotografico contemporaneo, attraverso un procedimento di prelievo, adozione e riciclo di repertori visivi già esistenti, su una scia teorica e operativa lasciata da Fontcuberta, Rafman, Umbrico e Schmid.
La fascinazione per l’estetica fotografica delle città fantasma, intrisa di stereotipi post-sovietici e sviluppata da una prospettiva amatoriale, viene tradotta su un piano di finzione quasi letteraria che è protagonista anche di una composizione mockumentaristica, presente sul sito internet di Vaste Programme, all’interno della quale si dà la parola a Ivan Putnik che sembra raccontarci la storia del suo viaggio e delle sue fotografie: «La voce – spiega il collettivo Vaste Programme – è stata estratta da un video preso da Youtube di uno chef russo che prepara le polpette; in alcuni punti sembra dire turista e Dudinka (città russa), abbiamo fatto in modo di far coincidere queste parole con i sottotitoli. Quando l’arte ti propone un contenuto, ti fidi ciecamente e magari ti sforzi pure a interpretare ciò che stai vedendo. Abbiamo voluto giocare anche su quest’altro stereotipo».