Accedendo al sito web di Federica Di Pietrantonio, ci si trova davanti il desktop di windows 95/98: «Nasce per gioco – dice l’artista – parte del mio lavoro è creare siti web, quando li realizzo per gli artisti, cosa che accade spesso, mi piace che rispecchino la loro ricerca. Per il mio ho pensato di realizzare un sito che rappresentasse la nascita della mia ricerca, come sono cresciuta, e che non avesse punti di riferimento specifici, ma dove tutto è organizzato in cartelle». Nella sua famiglia, il computer non è mai stato demonizzato. Cresciuta con un papà un informatico, il computer è sempre stato qualcosa di affasciante da comprendere e studiare. «Il mio interesse– continua – per la realtà virtuale e per ciò che accade online è un attitudine che si è sviluppata in me naturalmente, al di la del mio percorso artistico».
I lavori di Federica Di Pietrantonio nascono da piattaforme e esperienze virtuali, le quali sono un pretesto per raccontare e indagare quali sono i comportamenti, i rapporti e le attitudini nate online e che riscontro hanno nella vita reale. C’è un forte dibattito sulla veridicità di ciò che accade virtualmente, su come ci si pone e sui legami che si creano, ma quello che affascina l’artista è come tutto quello che viene scambiato a livello di emotività e interazione è vero anche se virtuale: «Quello che mi interessa – racconta – è invertire la funzione del videogioco: non intrattenere, che è lo scopo per il quale viene creato, ma utilizzarlo come strumento di ricerca; scardinare i normali obiettivi che vengono stabiliti dai creatori e valutare le altre opzioni che si hanno. Utilizzare le piattaforme virtuali come una zona in cui sperimentare come potrebbe essere la realtà stessa». Nei suoi progetti Di Pietrantonio ragiona sul rapporto tra l’utente e l’avatar che questo crea nelle piattaforme: « L’avatar, o alter ego, – spiega – consente all’uomo di rendere concreta un’immagine che lui ha di sé e che non sempre riesce a esprimere nella realtà. Siamo abituati a considerare i nostri alter ego come qualcosa di altro da noi, dalla mia ricerca voglio mostrare come l’esperienza e le interazioni di questi online modificano la percezione che abbiamo di noi e del nostro corpo, come influiscono sui rapporti personali e su come impattano su ogni aspetto della realtà».
Il primo avatar realizzato è stato Foxy. Nasce nel 2017 su Second Life, con lo scopo di esplorare le potenzialità della piattaforma, nata nel 2003. Foxy è il costume di un avatar che richiama la comunità furry, nel quale, non avendo connotati fisici specifici, né un genere né una identità sessuale definita, cosi come tutti i personaggi che l’artista crea, chiunque può identificarsi. Foxy, nel 2021, è approdato su Instagram, diventando un filtro, imFoxy, che sostituisce il volto umano. Il progetto fa parte della mostra Art Layers, curata da Valentina Tanni per il decennale di Artribune, in cui dieci artisti hanno presentato altrettanti filtri Instagram. Federica Di Pietrantonio, che per il Talent Prize 2021 ha presentato l’opera You had me at hello, nell’edizione del 2020, è stata premiata nella categoria emergenti con il progetto Does the body know: «Con il nuovo lavoro – dice – ho approfondito alcuni aspetti quale l’identità, lo spazio virtuale e il riconoscimento del corpo all’interno di questa. Inoltre, mi sono concentrata su come percepiamo l’architettura virtuale, quanto di ciò che accade virtualmente retroagisce sulla nostra personalità e memoria; quanto l’abitudine a uno sguardo virtuale sullo spazio influenza la percezione fisica dello spazio reale». Negli ultimi lavori, come il video Lost in myst, finanziato dalla Regione Lazio con il bando Lazio Contemporaneo, girato interamente nel videogioco Myst, ragiona sullo spazio e sul paesaggio, sul rapporto che l’essere umano ha con qualcosa che considera esterno: «Siamo abituati – spiega – a guardare lo spazio fisico attraverso uno sguardo virtuale. Questo mi porta a ragionare sull’abbattimento della distinzione reale-virtuale e sulla necessità di trattarli come una stessa materia sottolineando come le due realtà confluiscono e si sovrappongono. Il mio intento è studiare il tipo di intreccio che si genera». Lost in myst racconta una passeggiata virtuale all’interno del videogioco traslata nella zona della Tuscia. Invita i visitatori a trasformare i passi visuali in reali: «Gioco sulla memoria – sottolinea – e sull’esperienza che prova una persona guardando il mio lavoro. Voglio che chi osserva i miei progetti proietti la sua personale visone in essi, perché non c’è un’unica strada da seguire per comprendere cosa sta accadendo, ma ognuno ha la sua». Oggi sta portando avanti vari progetti tra cui una ricerca sulle gif testuali come linguaggio poetico: «Sono delle istallazioni in cui accosto la gif prese online, a una traduzione da me realizzata pittorica o scultorea della stessa. Mi intriga che gli utenti utilizzino frasi che racchiudono i sentimenti di tutte le persone che l’hanno utilizzate».