Sentinel, il graphic novel di avventura scritto da Toni Sardina e Simone D’Angelo

«Il nostro graphic novel nasce dalla semplice bozza di un naufrago in balia di se stesso su un isolotto. Simone aveva avuto questa visione quasi eterea, che, per quanto semplice, lasciava spazio tanto ad un’ipotetica storia di avventura e di sopravvivenza, quanto a un fumetto intimista costruito attorno alla sua psiche. Poi ovviamente è divenuto tutt’altro quando ho voluto ingrandire la location e farla abitare da un popolo ostile, interessato al figlioletto del protagonista». A parlare è Toni Sardina – disegnatore e sceneggiatore palermitano classe 1993 – che ha scritto, insieme a Simone D’Angelo alle illustrazioni (disegnatore messinese, anche lui nato nel 1993) – il graphic novel Sentinel. Edito da Shockdom per la collana Yep!, il volume a colori (cartonato, 15 euro) narra la storia di un padre e del suo bambino che – in seguito ad un naufragio – si risvegliano su un’isola abitata da inquietanti (e tutt’altro che pacifici) individui, pronti a braccarli alla stregua di animali in fuga. Ma scappare è impensabile e l’unica speranza, per i due, risiede in un’autoctona che intende aiutarli.

Fin dove ci si può spingere per proteggere i propri cari? Per non soccombere? È la domanda di fondo di Sentinel, un volume snello non soltanto nel numero delle pagine (64) ma proprio nello sviluppo della storia scritta da Sardina e disegnata (nonché colorata) da D’Angelo; un racconto incalzante e guizzante al pari dei suoi protagonisti, per i quali il lettore non può che patteggiare fin dalle prime battute. Una narrazione che visivamente parlando, in taluni passaggi, rievoca il thriller Lavennder, scritto, disegnato e colorato da Giacomo Bevilacqua per Sergio Bonelli editore. «Apprezziamo molto Bevilacqua, ma non conoscevamo fino ad ora Lavennder – spiegano gli autori –, da qualche immagine in effetti i due fumetti potrebbero accostarsi come ambientazione, ma ignorandone gli sviluppi narrativi, possiamo notare solo queste similitudini negli sfondi e nelle palette». E ancora, la sensazione, nitida, è che Sentinel abbia un taglio cinematografico. È un pensiero corretto? «Certamente – replicano i due –, lavoriamo assieme da parecchi anni e il nostro punto focale prima ancora del lavoro in sé, è l’idea che sta dietro, sia essa narrativa oppure visiva».

Quindi Sardina e D’Angelo dettagliano la spiegazione: «Quello che facciamo ruota sempre attorno a un qualcosa di preciso e il più originale possibile. In questo caso, volevamo girare un vero e proprio film a fumetti e, seppur con poche pagine a disposizione, è quello che abbiamo cercato di fare. La narrazione, le immagini, le ambientazioni e le atmosfere potrebbero tranquillamente essere gli storyboard di un cortometraggio, o almeno questo è stata l’intenzione dietro la lavorazione». Poche pagine che non equivalgono a poco lavoro, è corretto? «Beh, considera che di prassi una lavorazione di questo tipo dovrebbe protrarsi dai 6 agli 8 mesi, ma in questo caso è durata un paio in più – replica Sardina – è la ragione è perché Simone ha gestito personalmente ogni aspetto del comparto visivo. Non c’erano altre persone oltre me e lui, quindi ci siamo coordinati per come potevamo tra scrittura e disegno».

Ma vi siete relazionati di persona o a distanza? «Facendo parte entrambi dell’Outclass art studio a volte capita di lavorare assieme nella stessa stanza, ma col Covid di mezzo – ed essendo Simone di Messina – questa volta ci siamo arrangiati tra telefono e mail». Avendo parlato in precedenza di “taglio cinematografico” è inevitabile domandarvi quali opere hanno influenzato la creazione di Sentinel. Sardina e D’Angelo non hanno dubbi: «Dalle premesse i lettori potrebbero pensare che Sentinel sia ispirato alla serie Lost oppure al film Cast Away, ma in realtà il senso della storia e l’impostazione cinematografica del fumetto derivano da Monolith di Roberto Recchioni, Mauro Uzzeo e Lorenzo Ceccotti. Ci affascinava l’idea che un semplice genitore potesse trovare la forza e il coraggio di affrontare l’ignoto e il pericolo pur di salvare il proprio bambino indifeso». E per la stessa ragione, i due autori dichiarano di essersi ispirati anche al videogioco Death Stranding, «dove il protagonista protegge un bebè fino alla fine di un’avventura dai tratti horror. Del resto entrambi facciamo poche cose nella vita: ideiamo, disegniamo e videogiochiamo».

Info: www.shockdom.com