Passeggiando tra le sale del Salone Margherita ci si sente assaliti dalla sindrome dell’epoca d’oro. Immersi negli sfarzosi spazi dell’unico salone liberty della Capitale, si viene trasportatati lontano nel tempo, in uno scenario sfavillante che vive della sua ostentazione di lussuosità. La lunga e altalenante storia dello spazio, lo ha osservato trasformarsi da teatro a caffè, per poi diventare cinema, studio televisivo e infine di nuovo teatro. Grandi momenti di splendore si sono susseguiti, inoltre, ad altrettanti periodi di buio e abbandono.
L’arte però oggi è la grande protagonista dello spazio che torna ad avere nuova vita grazie all’impegno della Banca d’Italia. Questa nel 2020 ne prende, infatti, le redini della conduzione, avviando una fitta serie di manifestazioni rivolte al pubblico al fine di valorizzare questo vero e proprio gioiello architettonico. Il collezionismo diviene, così, veicolo di arricchimento intellettuale e culturale, dando nuovi spunti per un florido futuro in cui arte ed economia si pongono al servizio della collettività e della salvaguardia delle testimonianze creative di ieri e di oggi.
Gli anni in cui nel Salone Margherita andava in scena Bagaglino, varietà a metà strada tra un balletto del Moulin Rouge e un dissacrante spettacolo di satira politica, sembrano lontani. Con la mostra Opere in scena, a cura di Pier Paolo Pancotto, lo spazio viene reinterpretato, facendo conversare l’attualità con la tradizione, in una splendida cornice dal sapore nostalgico. Nulla viene denaturato. Come spiega il curatore l’operazione si presenta come un progetto espositivo e non come una mostra tradizionalmente concepita. «Questo è un confine molto sottile.» prosegue Pancotto «La mostra segue delle regole che tendono a reiterarsi. Qui tutto si contravviene, non ci sono didascalie. Non abbiamo scelto un luogo tradizionale. L’illuminazione conserva un’atmosfera domestica perché queste opere sono fruite quotidianamente in modo privato e questo è ciò che abbiamo voluto riportare all’interno del progetto».
Un reverenziale rispetto e una delicata discrezione vengono concesse alle opere e al luogo; non si tenta di lasciare lo spettatore stupefatto, piuttosto quest’ultimo viene invitato alla riflessione attraverso l’apertura di dialoghi immaginari tra i capolavori che si intrecciano attraverso corrispondenze e confronti.«L’idea del teatro popolare e leggero trasforma questo spazio in un luogo di memoria che l’arte ci inviata a ricreare. Questo è un progetto nato dalle sensazioni; rimane una scelta coraggiosa in quanto il salone Margherita ha una sua personalità ed è per questo che l’allestimento ha carattere non invadente».
Un rimbalzo continuativo tra presente e passato si aggiorna in ogni sala attraverso inedite sintonie che arricchiscono la fruizione di uno spettacolo visivo volto alla sublimazione dell’essenzialità.
L’esposizione si apre con l’arredo originale del cafè chantant che nella prima sala viene ripristinato dopo un attento lavoro di restauro e ci si imbatte nella prima corrispondenza tra le opere di Maryla Lednicka e Namsal Siedlecki che si incrocia con il confronto sul tema del paesaggio di Paolo Canevari e Ferrucio Ferrazzi. L’allestimento è arricchito dall’incontro tra le differenti riflessioni sulla luce che prendono corpo nella pittura futurista di Enrico Prampolini e nell’audacemente sperimentale lavoro di Alberto di Fabio. Il confronto tra la tradizione e il contemporaneo si concentra nelle sale successive nei filoni del lavoro, della figura femminile, e nella natura morta che vengono indagati attraverso uno spettro ampio e capace di inquadrare un’evoluzione di cui la figurazione e l’astrazione sono attendibili testimoni. Marinella Senatore e Carlo Socrate si incontrano per rivolgere lo sguardo al tema dell’identità femminile, mentre Giulio Turcato ed Eva Marisaldi si impegnano in un riflesso incrociato, in cui descrivono l’operosa natura dell’essere umano del ‘900.
È verso la fine del sentiero tracciato nel Salone Margherita che incontriamo la romantica natura morta di Filippo de Pisis, con il suo fascino post-impressionista italiano, che si rivolge all’attualissima cornice in cui Nico Vascellari scompone minuziosamente ogni frammento di un nido, sottolineandone l’intima dimensione malinconica.
Ci si lascia decomprimere dall’ultima conversazione tra Carla Accardi e Atanasio Soldati che, a più di cinquant’anni di distanza, si ritrovano a scandagliare lo stesso terreno, quello dell’astrazione e scomposizione delle forme, dando un input capace di svelarne l’inedito, e probabilmente inconsapevole anche per la stessa autrice, parallelismo cromatico e compositivo.
Info: La mostra è visitabile gratuitamente dal 26 settembre al 12 dicembre 2021, dal giovedì al lunedì dalle ore 14 alle ore 20, previa prenotazione sul sito www.salonemargherita-opereinscena.it.