Un pittore che incarna la natura contraddittoria che ha definito la Germania durante la seconda metà del XX secolo; questo è A.R. Penck, nome entrato a pieno diritto nel pantheon dei grandi artisti in grado di animare e saper esprimere lo spirito combattuto di un popolo diviso, fisicamente e mentalmente prima ancora che ideologicamente. Attraverso una ricerca originale, contraddistinta da uno stile unico, A.R. Penck esplora i linguaggi tipici della tradizione e porta avanti un’analisi approfondita del segno e dei simboli ancestrali, giungendo ad una sintesi che ha saputo affascinare il mondo dell’arte, superando ogni polarizzazione politica.
Il Museo d’Arte di Mendrisio celebra il pittore originario di Dresda con un’importante retrospettiva che ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera, spaziando tra i vari elementi di una produzione poliedrica che parte da opera su tela e su carta di grandi e piccole dimensioni fino ad arrivare a sculture che testimoniano la sperimentazioni di differenti materiali come bronzo e cartone. La mostra, aperta fino al 13 febbraio 2022 nella città svizzera, tira le fila di un racconto a tratti tormentando ma effervescente e visionario in cui è protagonista uno tra gli esponenti maggiormente significativi nel sistema dell’arte degli anni ’70 e ’80 del ‘900.
Il successo non è però un traguardo raggiunto con poche difficoltà. Il primo strappo con il contesto politico della Germania dell’Est arriva dopo anni di lavoro mai apprezzato. L’ideologia socialista non ritiene l’azione dell’artista legata alla promozione di messaggi e dialoghi con la realtà ma Ralf Winkler (nome dell’artista, solo successivamente sostituito al suo pseudonimo ispirato al nome di un ghiacciaio, a metaforica testimonianza dell’origine della sua espressione artistica: la guerra fredda) è invece fautore del pensiero opposto. È indispensabile per il creativo avere un dialogo con il sistema politico e sociale. Tale convinzione lo rende inviso all’istituzione sovietica che lo costringe nel 1980 a trasferirsi oltre il muro, facendolo approdare ad ovest, dove finalmente trova terreno fertile per la sua attività che porta avanti senza però mai abbandonare il suo credo politico.
Questa nuova fase di lavoro determina un’ evoluzione stilistica legata al cambio degli storici punti di riferimento che A.R. Penck ha seguito durante gli anni ’70. L’avanguardia storica e il lavoro di artisti come Malevich, Picasso e Duchamp rimangono elemento fondamentale per la sua ricerca ma il trasferimento ad Ovest determina il raggiungimento della dimensione monumentale concepita come medium adeguato alla fruizione collettiva del frutto del lavoro artistico.
L’espressione multiforme dell’operato di A.R. Penck è ben testimoniata all’interno della mostra organizzata a Mendrisio dai curatori Simone Soldini, Ulf Jensen e Barbara Paltenghi Malacrida. La presenza di opere scultoree rende evidente l’esigenza della sperimentazione che non abbandona mai la forma primordiale, strumento efficace come nessun altro per la narrazione della storia umana. Dal 1984 l’artista lavora con il bronzo e progressivamente, come per la pittura, il medium scultoreo cresce di dimensione. Le enormi misure delle opere di A.R. Penck colpiscono anche gli Stati Uniti: Keith Haring e Jean-Micheal Basquiat sono evidentemente ispirati dalla ricerca effettuata sulla forma e sulla dimensione tanto che i due continueranno a scandagliarle nelle loro carriere individuali, portando all’apertura del sistema dell’arte nei confronti del graffitismo.
L’esposizione presenta una delle raccolte più complete di un artista che è riuscito a lasciare il suo segno e determinare una conversione delle tendenze grazie alla sua carica di innovazione ma sempre accompagnata da un grande rispetto per l’eredità del passato.