Potrebbe essere sfuggito ai più in nome di Fede Galizia, ma la sua storia non ha motivo di rimanere celata ancor più a lungo di quanto non abbiano già fatto.
Il consiglio di Trento è di fresca celebrazione quando una pittrice è in piena attività e dirige i lavori all’interno della sua personale bottega, con la stessa autorità con cui avrebbe fatto qualsiasi altro suo collega di sesso maschile. La fortuna critica dell’artista Fede Galizia, però, non è stata in grado di ergersi sotto il peso della polvere del tempo, che inesorabilmente si è posata su di lei schiacciandola e lentamente nascondendola agli occhi del grande pubblico.
Oggi una grande mostra antologica espone un rinnovato esame della produzione di quest’artista, spesso sottovalutata, e inserita semplicisticamente nell’indice dei naturamortisti italiani di fine ‘600. L’esposizione ha luogo nel Palazzo del Buon consiglio nella città di Trento e rimarrà aperta ai visitatori fino al 24 ottobre 2021. L’esposizione offre una lettura comparata del lavoro di Fede Galizia grazie alla presenza di opere provenienti sia da istituzioni pubbliche italiane e straniere sia da collezioni private.
Tra storia e critica
Durante i suoi anni d’oro, in cui il suo talento e quello della sua bottega vengono riconosciuti dai committenti e i collezionisti di Milano, è in atto uno dei processi che rivoluzioneranno, in ogni aspetto, il mondo cattolico. La controriforma della chiesa romana ridefinisce ogni genere di linguaggio e ristabilisce canoni molto diversi da quelli che, in particolare nei costumi, si sono osservati durante l’effervescente Rinascimento.
Le informazioni che giungono fino a noi rispetto la figura di Fede Galizia sono poche e molto generiche. Già dal suo nome, Fede, cogliamo quel rinvigorito indottrinamento che la chiesa cristiana sta mettendo in atto dopo la grande crisi dovuta allo scisma luterano, e a cui hanno seguito forti pressioni sulla revisione dei costumi della società tutta, a partire dai nomi dati ai nuovi nati.
La sua bottega si trova a Milano, città di dominio asburgico in seguito all’allontanamento della dinastia Sforza, dove da bambina si trasferisce con l’intera famiglia da Trento, per via delle esigenze lavorative del padre Nunzio, impegnato artigiano e artista egli stesso, da cui la Galizia eredita le abilita utili alla sua futura professione. Milano è, durante gli anni di gioventù dell’artista, una città impetuosa ma è tenuta bada dalle prediche del cardinale Carlo Borromeo, che si occupa di vedere eseguite le stringenti direttive che il Papato impone su ciò che concerne le abitudini di ogni fedele.
In questo contesto cresce la pittrice e Fede Galizia arriva a riscuotere il successo meritato attraverso una virtuosa rete di conoscenze nell’ambiente cortigiano e grazie all’amicizia stretta con figure come quella del letterato e storico gesuita Paolo Morigia, di cui Fede Galizia produce un ritratto destinato alla chiesa di san Gerolamo nel 1670. Nel ritratto in questione si manifesta quella che è una cifra stilistica davvero peculiare di Fede Galizia: un attenzione alla tecnica e una fantasia d’invenzione che si rintracciano in particolare nel dettaglio degli occhiali, sulle cui lenti convesse si riflette una finestra ,che l’uomo tiene tra le dita. Il realismo e la fisionomica sono materie care alla pittrice e che possiamo dedurre abbia ereditato dai grandi maestri come il ritrattista Giovan Battista Moroni e Leonardo da Vinci.
Un talento poliedrico
La sua abilità pittorica non si arresta al ritratto; Fede Galizia si cimenta su scene bibliche come la decapitazione di Oloferne, da parte della bella Giuditta, realizzata dalla pittrice di origini cremonesi con uno sguardo sempre attento al particolare, come può essere notato dalla maniacale dedizione alle resa dei costumi indossati nella scena, quest’ultima presente in mostra in cinque differenti versioni.
L’originale pittura di Fede Galizia è stata messa alla prova anche nella serie di soggetti con natura morta che le hanno fatto guadagnare la fama lacunosa, incapace di rendere giustizia al suo poliedrico talento. Vasi di frutta e composizioni floreali si incuneano nella tradizione pittorica italiana che in quei decenni viene sviluppata da figure di spicco, sopratutto nel territorio lombardo, da nomi come quello di Michelangelo Merisi, il Caravaggio, campione del genere che mutua dalla tradizione artistica fiamminga.
La mostra organizzata a Trento dai curatori Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa intende ridefinire il profilo critico di una pittrice a tutto tondo. Il versatile stile e talento pittorico di un’artista che è stata in grado di imporsi in un universo fallocentrico ha bisogno di essere riscoperto: dare modo di mostrare la percezione con cui capolavori di un periodo storico tanto singolare sono oggi percepiti da un pubblico dotato dei nuovi strumenti di lettura che la società moderna ci ha consentito di sviluppare è doveroso nei confronti di un artista troppo a lungo sottovalutata.