Si è conclusa da pochissimo 1 metro sotto la metro, mostra diffusa di arte interattiva metropolitana, che ha animato per tre giorni diverse stazioni della metro C di Roma. L’iniziativa, nata all’interno del bando Contemporaneamente Roma 2020-2021-2022 è realizzata da Fusolab 2.0 in collaborazione con ATAC e Flyer, ha previsto l’installazione di opere d’arte interattive all’interno delle stazioni metro Pigneto, Malatesta, Teano, Gardenie e Torre Maura e raggiunto una partecipazione di circa 8000 visitatori. Tornare all’interazione e alla partecipazione del pubblico, nonché esplorare le potenzialità dei territori grazie all’utilizzo della tecnologia, questi gli obiettivi salienti di questa edizione che si rinnoveranno nelle altre due edizioni previste dal bando. Abbiamo chiesto ad Arianna Forte, curatrice del progetto e ricercatrice nell’ambito del rapporto tra arte e tecnologia di raccontarci la sua esperienza e qualche prospettiva sul futuro.
Parto da una curiosità. A memoria credo che questo sia il primo festival dedicato all’arte interattiva che si è svolto dopo le varie chiusure dovute alla pandemia. Cosa vuol dire alla luce di questo riflettere sull’interazione e quali criteri di selezione hai applicato per selezionare i progetti?
«Hai centrato assolutamente uno dei punti core della nostra iniziativa: l’arte interattiva ha storicamente e definitivamente emancipato l’opera d’arte dalla sola dimensione contemplativa, inducendo il visitatore a esserci fisicamente e rompere la regola del “non toccare”. In 1MSM , dopo la grande pausa culturale e sociale dovuta alle chiusure in cui siamo rimasti tutti isolati in una dimensione contemplativa dello schermo, invitiamo i passeggeri della Metro C a ricominciare ad Inter-agire e “toccare” di nuovo attraverso delle opere d’arte incontrate casualmente nel percorso quotidiano. Ne è un esempio calzante l’opera Distances del duo francese Scenocosme, che abbiamo presentato nella stazione Teano. È una riflessione sulla pandemia e dà la possibilità di toccarsi virtualmente: riunisce visivamente nella stessa immagine, due persone fisicamente lontane. Il criterio di selezione è stato quello di riuscire a proporre progetti di alto livello e contenuto rilevante dall’interfaccia però accessibile, in quanto diretti a un pubblico non specializzato, come appunto può essere chi viaggia nella metro. Molte delle opere che sono state esposte sarebbero potute far parte di festival di nicchia di media art ma abbiamo scelto quelle in cui l’interazione è diretta e chiara».
Tutte le opere presentate sono connate dall’approccio al mezzo tecnologico, costante nella tua ricerca. Cosa ti interessa esplorare in questo senso?
«Le tecnologie (nuove o meno) fanno parte di ogni aspetto della nostra società odierna – invadono e aumentano i nostri corpi o sono parte dell’andamento delle nostre relazioni emotive o professionali. Come sappiamo le tecnologie non sono neutre e influenzano i processi umani e gli ecosistemi in cui sono coinvolte, riportano il punto di vista di chi le ha progettate. Per questo mi interessa esplorare i limiti e le potenzialità critiche dei mezzi che usiamo, i risvolti (bio)politici e un loro uso critico e consapevole. che si può esprimere creativamente attraverso l’arte.
In questa iniziativa, avendo un respiro più divulgativo e aspirando a raggiungere un pubblico di non esperti, il mezzo tecnologico diventa un detonatore per l’azione. Il gancio per l’interazione che a tratti è giocosa ma sottintende in tutte le opere – in particolare in Eternal Dream, Distances e Algorithm, una riflessione più profonda».
Il festival si è aperto con un interessante workshop dell’artista Dasha Ilina con il suo Center for Technological Pain, ci vuoi raccontare meglio in cosa consiste questo progetto e quali sono i suoi sviluppi?
«Riprendendo la domanda di prima, in questo progetto la riflessione sulla tecnologia, la sua pervasività e i suoi effetti nella quotidianità sono espliciti Dasha, che è un artista russa giovanissima trapiantata in Francia, esplora il rapporto che sviluppiamo con i dispositivi digitali che utilizziamo quotidianamente attraverso la lente del design speculativo. Con il Center for Technological Pain propone soluzioni fai-da-te per esaminare vari problemi di salute causati dalle tecnologie digitali, come la dipendenza dal telefono. Nel workshop c’è stato un breve momento di presentazione teorica della questione per poi passare alla costruzione pratica con materiali comuni come cartoncino e colla, di oggetti che ovviano a questi problemi. Il concept è molto semplice ma efficace infatti con questo progetto ha ricevuto una Menzione d’Onore ad Ars Electronica nel 2020».
Alcune delle opere presentate sembrano dimostrare come la tecnologia sia un importante mezzo per ampliare i confini, altre mettono in luce l’aspetto più critico del nostro rapporto con il progresso, infine c’è spazio per la riflessione sul distanziamento sociale e le sue implicazioni. Vuoi raccontarci un po’ di più?
«Dell’opera Distances del duo francese Scenocosme già ho accennato: è una riflessione diretta sul distanziamento sociale e sul riuscirsi a toccare e interagire, sempre e solo sullo schermo, nonostante si sia fisicamente distanti.
Eternal Dream, realizzata da Simon Weckert, artista tedesco tra i vincitori del Prix Ars Electronica 2020 in collaborazione con Philipp Weiser, è uno specchio computazionale che scansiona l’ “anima digitale del corpo del visitatore” che, invitato a saltare , “spicca un eterno volo attraverso il web” e invita a riflettere su come facilmente concediamo i nostri dati online e come questi rimangano a “fluttuare” nel web (http://eternal-dream.digital/index.php).
Invece Algorithm, l’opera delle Calembour, un duo di media artist che lavorano su temi trans femministi, è una critica sull’intervento umano sulla natura, in cui se si toccano le piantine dell’installazione si crea un glitch visivo e sonoro.
Mentre Bloom di Maotik, digital artist francese di punta di molte iniziative di live AV performance, è un muro interattivo in cui tramite un gesto del visitatore “sbocciano” fiori astratti e composizioni sonore sempre diverse.
Ancora tra le opere che si erano candidate alla call for projects, abbiamo scelto Retrospective di Motorefisico, un duo di designer di Roma, che consente al visitatore di interagire con giochi e geometri luminose e con le composizioni sonore del musicista Arssalendo. Infine c’è il progetto che il collettivo Tamara Ceddi ha sviluppato appositamente per l’ATAC:, Do ut Das, un distributore automatico di storie che in cambio di un biglietto dell’Atac usato restituisce una poesia dei Poeti der Trullo».
1 metro sotto la metro è un progetto vincitore del bando triennale Contemporaneamente Roma, finalizzato alla realizzazione di manifestazioni culturali che coinvolgano il territorio di Roma Capitale. Non sei nuova a questo approccio, che per anni hai portato avanti assieme al centro di ricerca Her – She loves Data di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico. Cosa ti interessa di questa modalità di interventi?
«La questione di lavorare sul territorio, attivandone attori sociali diversificati e coinvolgendo pubblici non solo di esperti e soprattutto la comunità è stata al centro di moltissimi progetti che ho curato. Su Roma con HER abbiamo lavorato molto sulla specificità dei quartieri, prima con HER:She loves San Lorenzo, che si proponeva come un festival “di quartiere di arte e dati” che si è realizzato con una grande “processione” tra le attività di San Lorenzo che ospitavano le opere e poi con IAQOS, acronimo appunto di Intelligenza Artificiale di Quartiere Open Source, progetto in cui abbiamo lavorato fortemente su Torpignattara. Con 1M Sotto la Metro il focus è sempre sulla periferia di Roma Est, su cui già Fusolab 2.0 lavora da anni essendo un riferimento culturale e sociale per l’Alessandrino. L’idea è quella di migliorare il territorio in cui viviamo e arricchirlo attraverso progetti culturali strutturati e partecipativi.
Nello specifico Contemporanemente Roma, ci dà la possibilità di sviluppare il progetto nel tempo e dargli continuità per tre edizioni. Questa è una buonissima iniziativa del Comune perché ci dà l’occasione concreta di sviluppare un progetto sul territorio, creare un appuntamento fisso e vederne i risultati con il tempo».
Infine ti lascio con una domanda personale. Dove sta andando la tua ricerca e cosa ti prefiggi di fare nel futuro prossimo?
«In questi ultimi anni mi sto affacciando alla ricerca di pratiche artistiche che affrontino la questione dei bias di genere insiti nella tecnologia e in generale riportino un punto di vista spiccatamente (trans)femminista sulle tecnologie. Quindi sto cercando di soffermarmi sulle pratiche di arte, tecnologia e scienza che si intersecano con le questioni di genere.
Stiamo lavorando a diversi progetti al riguardo: una mostra e un bando appena vinto per realizzare delle “Residenze per un’arte partecipativa transfemminista”. E poi si a dicembre ci sarà la seconda edizione di 1M Sotto la metro».