Salvator Dalì, da artista visionario a investigatore privato goffo e senza talento. Stiamo per raccontarvi Il treno di Dalì, il nuovo graphic novel firmato Vivenzio- Iamartino.
«Questo volume nasce da un periodo particolarmente turbolento della mia vita, quello che trascorre dall’ultimo anno di liceo al primo di università. Ma era anche il momento in cui mi ero appassionato al surrealismo, soprattutto cinematografico, da Luis Buñuel ad Alain Resnais, oltre la pittura. Ho conciliato il periodo che attraversavo alle influenze di allora ed è emersa una storia sognante, sghemba, con un protagonista senza speranza. Come mi sentivo io». Parole di Salvatore Vivenzio – romano, classe 1997 – scrittore, sceneggiatore e giornalista. Con lui Fabio Iamartino (lombardo, 31 anni, art director e illustratore), entrambi deus ex machina di un volume a fumetti che viene definito «un’opera visionaria, surreale e straniante, sospesa tra la scrittura di William Seward Burroughs e l’immaginario di Un cane andaluso». Ecco, il cortometraggio del 1929 scritto dal già citato Buñuel con Salvador Dalì esalta l’inconscio umano, e senza azzardare paragoni improponibili anche l’ottimo Il treno di Dalì (Shockdom, cartonato, 80 pagine a colori, 15 euro) danza, non proprio sulle punte, tra l’onirico e l’inquietante grazie ai disegni di Iamartino e alla penna di Vivenzio. Proprio quest’ultimo spiega: «Il mio obiettivo, quando ho realizzato la storia che mi ha proposto Salvatore, era osservare ciò che stavo comprendendo di quel racconto, anche volutamente proiettando del mio sulla sua storia: simbologie, piccoli vuoti esistenziali, dubbi e confusioni che intendevo osservare e che avevo deciso di attribuire alla narrazione di Salvatore e probabilmente a quel periodo della sua esistenza». Ma chi è Dalì in questo graphic novel? È un investigatore privato senza alcun talento, che accetta un incarico (chi può riporre tanta fiducia in lui?) che lo conduce a Città Nuova per ritrovare una persona scomparsa (“non sono molto abituato a viaggiare in treno, quindi sono un po’ goffo con i bagagli”, ammette). Ogni volta che inizia la sua ricerca, però, Dalì viene interrotto da eventi tanto assurdi quanto inspiegabili che gli impediscono di procedere oltre. In questo caso, pur conscio delle difficoltà che si troverà ad affrontare (“questo è un caso davvero difficile, ho avuto poche indicazioni”) il nostro cerca di mettersi alla prova. E quando oramai è in procinto di gettare la spugna, uno strambo incontro gli ridà speranza. Chissà se una figura del genere sarebbe stata utile anche a Vivenzio, che riconosce: «Il mio approccio con il mondo degli adulti è stato complicato, ho dovuto mettere da parte molte cose e tentare di mediare tra quelli che erano le mie aspirazioni e la dura realtà. Mentre Iamartino, tornando al graphic novel, spiega: «Essendo il background visivo del racconto ben esplicitato fin dal nome del protagonista, Dalì, il mio lavoro è potuto scaturire soltanto da una rielaborazione di numerosi spunti e riferimenti – tanti partiti dallo stesso Salvatore – sui quali ci siamo rapportati e di cui mi sono circondato fin dal principio». È un vero e proprio sogno (incubo?) ad occhi aperti, Il treno di Dalì. Un racconto dove i testi e le immagini sono “coraggiosi”, per nulla convenzionali, e quando gli autori affermano che non mancano le influenze classiche di Giorgio de Chirico, René Magritte, ma neppure le sperimentazioni contemporanee targate Joan Cornellà, Robbie Trevino, Éric Lambé, Brecht Vandenbroucke (nonché, aggiungiamo noi, alcune sfumature di Henning Wagenbreth e di Tommy Gun, solo per fare due nomi) ci si rende conto di come questo graphic novel sia decisamente “oltre”, nel bene o nel male. Una viaggio lisergico da compiere, consigliamo, ascoltando in sottofondo l’album “Un Aldo qualunque sul treno magico” (2002) dei Timoria, dove in un passaggio la band sembra quasi voler spronare Dalì: «Prendi un treno magico, vola, vieni via da lì».
Info: www.shockdom.com