La processualità della traccia. La personale di Beatrice Pediconi alla Sara Zanin gallery

Roma

«L’Immagine-lacuna è un’immagine-traccia e un’immagine-sparizione al tempo stesso», questa descrizione di Georges Didi-Huberman, tratta dal suo celebre testo Immagini malgrado tutto (2003), sembra aleggiare – non troppo silenziosamente – tra le sale immacolate della galleria di arte contemporanea Z2O Sara Zanin, che accolgono i nuovi lavori di Beatrice Pediconi. «Qualcosa resta, qualcosa non è la cosa, ma un lembo del suo aspetto, della sua somiglianza. Qualcosa – pochissimo, una pellicola – resta del processo di annientamento: quel qualcosa, dunque, testimonia di una sparizione e al contempo di un suo possibile ricordo, di una possibile memoria» (Georges Didi-Huberman).

Nude, questo il titolo di questo progetto di arte contemporanea curato da Cecilia Canziani, è un viaggio all’interno di un percorso intimo in cui si entra in punta di piedi, con il rispetto di un luogo sacro. Una dimostrazione di come l’arte contemporanea possa riuscire a descrivere un’emozione. Il segno, vivo come fosse una fiamma tracciata sulla superficie, è il risultato – ancora di più che nei suoi precedenti lavori – dell’atto processuale dell’artista. Il punto d’arrivo di questo atto creativo è la traccia che resta incollata alle carte forti, corpose, frutto del lavoro di emulsion lift, in questo nuovo gruppo di lavori dal titolo Untitled. A partire da scatti precedentemente realizzati, Beatrice Pediconi sottrae strisce di emulsione fotografica che poi lavora con le proprie mani sulla superficie della carta immersa in grandi vasche d’acqua all’interno del suo studio di New York. Ciò che rimane impresso nell’occhio di chi guarda è un segno che agisce come testimonianza, testimonianza di qualcosa che è andato inevitabilmente perduto lungo il percorso, che sia esso formale o personale. Quella che sembra una elaborazione a base di pastello o acquarello è invece quel che rimane tra il bianco della pellicola e lo spettro di colore dove era rimasta impressionata l’immagine.

arte contemporanea
Beatrice Pediconi, Untitled#1, 2020. Foto Giorgio Benni

Il corpus che apre la mostra si presenta come un alfabeto di una lingua apparentemente incomprensibile: eppure, avvicinandosi, quei segni appartengono nell’intimo alla scrittura di una storia, segnano punto per punto un passato che definisce un percorso. L’artista, infatti, rimasta bloccata per motivi personali in Italia proprio agli inizi del lockdown a seguito della pandemia generata dal virus COVID-19, si è ritrovata senza la propria casa, senza il proprio studio, in un non-luogo reale e figurato in cui l’agire sembrava incompatibile con quel mancato senso di appartenenza.

Un tempo congelato, cristallizzato, nel quale l’artista si ritrova ad affrontare un lutto molto grave, che affronta scandendo ogni giorno come in un diario privato per immagini: ogni segno, come una parola, come una frase, costruisce un dialogo davanti allo specchio nella ricostruzione di sé stessa. È proprio in questo atto rigenerativo che si compie il processo, dando vita a quelle tracce che sono apparizioni, presenze, ricordi. Dalla decostruzione della fotografia, attraverso l’acqua l’immagine rifulge nella propria fluidità, così come accade nelle sue installazioni video realizzate proprio partendo dalla manipolazione del materiale liquido: anche in questo caso la ciclicità del processo costituisce un ordine processuale, dal principio alla sua conclusione, per poi ricominciare ancora senza soluzione di continuità.

Come perfettamente descritto dalla curatrice, anche i tre libri d’artista che accompagnano il percorso creano un ritmo fluido tra la pagina bianca e la materia rimasta come pellicola sulla superficie della carta, imprimendo quello che Cecilia Canziani definisce un ritmo dalla scrittura musicale.

In fondo cos’è la memoria se non quella fiamma in grado di accendersi e di persistere, pur quando a restarne non è che una lieve impronta? Un segno, apparentemente fragile, ma in realtà incredibilmente potente che è una memoria, che come un guizzo sopravvive all’oblio del prima, del già avvenuto, del passato. L’occasione di un possibile ricordo, che è allo stesso tempo un momento di distacco, ma che mantiene l’alone del proprio essere.
Un’immagine, ancora, malgrado tutto.

Fino al 27 marzo 2021, Z2O Sara Zanin Gallery,
via della Vetrina 21, Roma
info: https://www.z2ogalleria.it/