Arte al tempo del Covid: Emanuele ”Crisi gestita male, fondi alla cultura una goccia nel mare”

Roma

La pandemia da Covid che da quasi un anno si è abbattuta sul nostro paese, oltre alle famiglie e alle coscienze di molti di noi, ha colpito duramente tutte le attività produttive. Il mondo della cultura ampiamente inteso risulta tuttavia essere tra i settori più segnati e tra le vittime di provvedimenti apparsi eccessivamente restrittivi. Perché, ad esempio, tenere chiusi i musei e aperte le gallerie d’arte? Oppure perché chiudere i cinema e aperti i negozi? Molte questioni rimangono aperte e molte incertezze su cosa fare per rilanciare il mondo della cultura rimangono sul tavolo. Per capire meglio cosa è successo e per ragionare sul futuro, abbiamo intervistato Emmanuele F.M. Emanuele, storico presidente di Fondazione Roma, oggi Presidente della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale. Emanuele, discendente di una delle più antiche famiglie nobili siciliane, ha un curriculum lungo una quaresima: professore universitario, avvocato cassazionista, economista, esperto in materia finanziaria, tributaria ed assicurativa, saggista, autore di libri di economia e poesia. Per noi è però soprattutto un mecenate e un filantropo, uno degli ultimi rimasti. Cominciamo partendo dal problema, la cultura al tempo della pandemia.

Professore il mondo della cultura è stato tra i più colpiti dalla pandemia da Covid: di fatto quasi un anno intero senza poter svolgere le attività tipiche. Quali sono i danni principali riportati, quali conseguenze del blocco? 
«Il mondo della cultura è stato la vittima principale della incomprensibile e assolutamente errata conduzione, da parte delle autorità pubbliche, della gestione del fenomeno. Ho già avuto modo di dire nel passato come si sia equiparata l’attività negli spazi espositivi di gallerie e musei dal profilo sanitario a quella della ristorazione dei caffè e dei bar, cose completamente differenti atteso che, ad esempio, nello spazio espositivo da noi gestito a Palazzo Cipolla con la mostra di Valdés era prevista la sanificazione degli ambienti tre volte al giorno, il precauzionale controllo della temperatura con relativa auto-dichiarazione, lavaggio e disinfezione delle mani, e, cosa più importante, l’accesso ai locali espositivi di cinque persone alla volta e non oltre. I danni riportati sono stati rilevantissimi perché una mostra, normalmente, presuppone almeno due anni di preparazione, con rispettivi oneri al personale di alta qualità professionale, i cui costi gravano sulla gestione. Chiudere, come erroneamente è stato fatto, gli spazi espositivi e quelli museali, è stato un errore di proporzioni rilevanti sia dal profilo economico e sociale, e anche, se posso permettermi di dirlo, di carattere umanitario, poiché in un momento così drammatico la visione del bello avrebbe sicuramente consentito ai fruitori di allontanare l’ansia da questa emergenza sanitaria che sta influendo così negativamente sull’esistenza di coloro che con essa devono convivere».

Dal suo osservatorio quali sono oggi le priorità?
«Le priorità sono che si debbano aprire immediatamente gli spazi espositivi, specie per quelle mostre di valenza internazionale che, tra l’altro, avrebbero avuto titolo per richiamare, nonostante le difficoltà dei viaggi, turisti interessati a conoscere artisti di assoluta rilevanza mondiale e difficilmente rivedibili».

Gli aiuti fiscali, come la detassazione dei ricavi da biglietteria, sono la strada giusta?
«Mi pare veramente, quantomeno, non rilevante ipotizzare una comparazione tra i costi per l’allestimento di mostre, come quella a cui ho fatto riferimento, con la detassazione dei ricavi da biglietteria, specie per quegli enti come la nostra Fondazione che, per motivi sociali, tengono il costo dei biglietti a valore minimale. Lo Stato, in questa componente di aiuto europeo, oltre che destinare i soldi alla Sanità, alla Scuola e a quant’altro previsto, forse avrebbe dovuto – tenuto conto che nel nostro Paese l’industria langue ormai da sempre, l’agricoltura parimenti, il Made in Italy non funziona più come in passato, e che le uniche risorse preziose di cui disponiamo sono la bellezza del nostro incomparabile territorio e l’Arte – determinare una cifra rilevante da far pervenire a quei soggetti che eroicamente considerano ancora che l’Arte sia un valore primario sul quale spendersi».

Dopo le ultime integrazioni, nel Recovery Plan alla voce ”turismo e cultura” sono stati appostati in totale otto miliardi. Le sembrano sufficienti? Lei come li utilizzerebbe? 
«Io sinceramente non lo ritengo perché una mostra del livello di quella di cui sto parlando costa un milione e mezzo e quindi gli otto miliardi sarebbero una goccia nel mare di tutte quelle iniziative che i propositori convinti della valenza della Cultura hanno approntato in questi anni e vorrebbero continuare ad approntare con mostre e gestioni museali in cui il nostro Paese è unico».

La fondazione che lei gestisce e presiede come si è adeguata a questa emergenza? 
«Noi abbiamo subito la chiusura dall’oggi al domani, e non abbiamo potuto fare nulla se non mantenere i dipendenti stabili pur in carenza di attività, ma mettendo a repentaglio la vita economica di coloro che autorevolmente collaborano da esterni ad un’attività espositiva, pertanto i vigilanti, le guide, i venditori di prodotti culturali, e di tutti coloro che hanno titolo per condividere l’avventura di una mostra».

Da sempre lei sostiene, per un paese con le caratteristiche dell’Italia, la necessità di unire il ministero dell’economia a quello della cultura e del turismo. È ancora d’attualità la sua proposta?
«È vero, io da sempre sostengo, e la rinnovo, questa esigenza per un Paese, come ho detto prima, privo oramai di attività produttive di grande livello: la maggior parte delle grandi industrie italiane, un tempo statali, deprecabilmente sono state, nel corso degli anni, depauperate e privatizzate, con il risultato che sono sparite, o sono perennemente in crisi nonostante gli interventi di Cassa Depositi e Prestiti che cerca di dare una risposta, come l’IRI di un tempo, al bisogno di questi comparti; quelle private sono spesso trasmigrate all’estero, ma, soprattutto, come ho detto prima, l’Italia si regge ormai soltanto sulla bellezza del suo patrimonio, sulla Cultura e il Turismo. La mia proposta da sempre sarebbe di incentrare nel Ministero dell’Economia anche quello della Cultura e del Turismo da cui scaturirebbe una perfetta sinergia essendo queste due attività generatrici di risorse economiche come poche».

Si parla molto di strutture, poco delle persone. Nessuno si è preso cura degli artisti giovani o maturi che fossero: non una iniziativa specifica destinata a loro. Cosa ne pensa?
«Non è vero. Anche qui io ho condiviso appieno l’idea di affidare a dei giovani una mostra spettacolare, intitolata “L’Arte al tempo del Covid”, che probabilmente, proprio per i problemi che incontriamo, non sarà presentata in Italia ma in Brasile e penso che ancora una volta la cecità di chi ci rappresenta, al di là delle parole che costantemente fluiscono, non si rivolga a coloro i quali hanno veramente bisogno, e tra questi i giovani».

Mi pare veramente, quantomeno, non rilevante ipotizzare una comparazione tra i costi per l’allestimento di mostre, come quella a cui ho fatto riferimento, con la detassazione dei ricavi da biglietteria, specie per quegli enti come la nostra Fondazione che, per motivi sociali, tengono il costo dei biglietti a valore minimale. Lo Stato, in questa componente di aiuto europeo, oltre che destinare i soldi alla Sanità, alla Scuola e a quant’altro previsto, forse avrebbe dovuto – tenuto conto che nel nostro Paese l’industria langue ormai da sempre, l’agricoltura parimenti, il Made in Italy non funziona più come in passato, e che le uniche risorse preziose di cui disponiamo sono la bellezza del nostro incomparabile territorio e l’Arte – determinare una cifra rilevante da far pervenire a quei soggetti che eroicamente considerano ancora che l’Arte sia un valore primario sul quale spendersi

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