Fondazione Trussardi sceglie Kjartansson per una performance profonda, con dedica a Milano

Milano

Il diciottesimo anno di Fondazione Trussardi non è stato facile, è capitato nel mezzo di un’imprevista pandemia globale, ma la presidente Beatrice Trussardi e il direttore artistico Massimiliano Gioni ne hanno approfittato per concepire un progetto nuovo coinvolgendo un artista di calibro a cui affidare l’obiettivo di entrare in dialogo con la storia passata e recente di Milano. L’artista viene da molto lontano, è l’islandese Ragnar Kjartansson, già molto conosciuto nel panorama contemporaneo internazionale. Sarà lui a inaugurare la stagione autunnale, di fatto la ripresa delle attività, della Fondazione. Il progetto, pensato per la Chiesa di San Carlo al Lazzaretto di Milano, è stato concepito in seguito al difficile periodo di quarantena che ha segnato la vita pubblica e privata di milioni di italiani, in particolare dei cittadini della Lombardia: ancora una volta un intervento dalla forte valenza simbolica. Dal 22 settembre al 25 ottobre 2020, ogni giorno, cantanti professionisti si alternano, uno alla volta, all’organo della Chiesa di San Carlo al Lazzaretto – detta anche San Carlino – per eseguire un etereo arrangiamento della celebre canzone di Gino Paoli, Il cielo in una stanza, che si ripeterà ininterrottamente per sei ore al giorno, come una ninna nanna infinita. «Il cielo in una stanza è l’unica canzone che conosco che rivela una delle caratteristiche fondamentali dell’arte: la sua capacità di trasformare lo spazio – spiega l’artista – In un certo senso, è un’opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell’immaginazione, infiammata dall’amore, di trasformare il mondo attorno a noi. È una poesia che racconta di come l’amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciare il cielo e gli alberi… L’amore sa leggere ciò che è scritto sulla stella più lontana, diceva Oscar Wilde».  

Le opere di Ragnar Kjartansson – che alternano video, performance, musica e pittura – sono caratterizzate da un senso di profonda malinconia e sono spesso ispirate alla tradizione del teatro e della letteratura nordica del Novecento, con riferimenti che si possono ricondurre all’opera di Tove Janson, Halldór Laxness, Edvard Munch e August Strindberg, tra gli altri.

L’ARTISTA
Cresciuto all’interno di un contesto artistico e musicale colto – i genitori sono attori teatrali di successo, la madrina è una cantante folk professionista – ancora adolescente Kjartansson intraprende la carriera di musicista con diversi gruppi, tra cui i Kanada, i Kósý, e i Trabant, con cui gira in tournée sia in Islanda sia a livello internazionale. Dal 2007 si dedica interamente alle arti visive, ma i rapporti con la musica e con il teatro – come strumenti espressivi e universi sentimentali – restano centrali in molte sue opere. In particolare, la ripetizione di suoni e gesti è un elemento fondamentale nelle sue composizioni e coreografie, che sono state spesso descritte come forme di meditazione e di riflessione nelle quali ritornelli, frasi e arie musicali sono trasformate in litanie toccanti e mantra ipnotici. Dopo mesi trascorsi nello spazio chiuso delle proprie abitazioni, accanto ai propri cari o, più tristemente, lontani dai familiari e dagli affetti – rendendosi conto della propria solitudine e soffrendo per le persone perse nella lotta contro la pandemia – la performance di Kjartansson può essere letta come un poetico memoriale contemporaneo: un inusuale monumento e un’orazione civile in ricordo dei dolorosi mesi passati a immaginare il cielo in una stanza e a sognare nuovi modi per stare insieme e per combattere la solitudine e l’isolamento.

L’OPERA E MILANO
The Sky in a Room – performance inizialmente commissionata da Artes Mundi e dal National Museum of Wales di Cardiff, con il supporto del Derek Williams Trust e dell’ArtFund – per questa presentazione viene messa in scena nella Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, un luogo la cui storia è intimamente legata a precedenti epidemie, dalla peste del 1576 a quella del 1630, resa celebre da I promessi sposi di Alessandro Manzoni che cita in più occasioni il Lazzaretto nel romanzo e vi ambienta uno dei capitoli più noti. 
Concepita inizialmente come un altare da campo nel centro del Lazzaretto edificato dall’architetto Lazzaro Palazzi, la chiesa venne progettata da Pellegrino Tibaldi su commissione del cardinale Carlo Borromeo nel 1576. Originariamente aperta su tutti i lati così che i malati potessero assistere alle funzioni rimanendo all’esterno, la chiesa è stata poi trasformata dall’architetto Giuseppe Piermarini a cavallo tra Settecento e Ottocento. Sopravvissuta alle trasformazioni di quasi cinque secoli, San Carlino è un luogo che racconta la storia di Milano e dei suoi cittadini attraverso stratificazioni profonde.