Deep Blue, Lorenzo Pace

Roma

Una pittura molto sensibile, fisica ed empatica quella di Lorenzo Pace, l’artista vincitore, insieme ad Alice Faloretti, della Call Lefranc Bourgeois che gli ha aperto le porte di una residenza di due settimane a Fondamenta gallery a Roma per indagare sul Deep Blue. Il suo linguaggio parte dalla pittura ma spesso si sviluppa in una dimensione interdisciplinare e questa caratteristica ha accompagnato più volte la sua creatività, anche nel caso del progetto vincitore. Nell’intervista che gli abbiamo fatto abbiamo capito il perché. 

Di te sono già noti alcuni lavori che hai portato in galleria e in fiera. Le tue opere spesso si sviluppano in più linguaggi, dalla pittura all’installazione. Come spieghi questa tua peculiarità?
«Credo che ogni opera abbia bisogno di un proprio linguaggio e di una sua personalità per trasmettere il messaggio desiderato. Ognuna infatti ha un suo carattere, una forma estetica ben precisa. Per questo uso differenti mezzi di comunicazione: supporti, materiali e oggetti che diventano protagonisti della mia visione artistica ma hanno tutti un filo conduttore comune. Una semplice spugna che può sembrare solo un oggetto quotidiano povero, per me invece può diventare la forma di espressione perfetta per raccontare una storia. Tutto quello che mi circonda, quindi, potrà diventare parte integrante della mia arte o fonte per la mia ispirazione».

Nel tuo lavoro hai sperimentato anche utilizzi meno tradizionali della pittura. Cosa rappresenta la pittura per te?
«La pittura è stata la base di tutto, il mio inizio. Dopo il disegno è stata la forma di espressione più veloce e diretta per materializzare il mio pensiero. 
Il semplice stendere il colore sulla tela era per me come una terapia: Sporcarmi le dita con il colore e diventare un tutt’uno con esso rendeva il mio caos interiore più calmo e si trasformava in tranquillità, isolamento e introspezione che riuscivano a farmi esprimere le mie emozioni. Non a caso le mie prime pitture raffiguravano oggetti realistici, figure umane e natura che si fondevano tra loro diventando così nuove forme mai esistite, protagonisti di un mondo sospeso. La mia esigenza di comunicazione mi ha portato, più avanti, a provare anche altre forme di pittura cambiando sia il supporto sia lo strumento per dipingere, una ricerca continua di nuove forme di espressione».

Raccontaci il tuo progetto presentato alla Call Lefranc Bourgeois.
«Non ho potuto fare a meno di associare il deep blu alla mia ricerca personale. Il blu come immersione in una dimensione inesplorata, confini irraggiungibili che rendono l’individuo sempre più perso e che si trova a dover affrontare conflitti irrisolti con se stesso. È per questo che i lavori presentati sono diversi tra loro e spaziano dalla pittura, all’installazione fino alla performance. Ognuno di loro racconta una storia, un’emozione diversa che non può essere limitata in un unico supporto. Anche in questo caso, oggetti comuni prenderanno tutto un altro significato e cercheranno di far immergere l’osservatore in realtà estranee che gli sono più vicine di quanto possa pensare. Il Deep Blue verrà esasperato in tutti i suoi aspetti e mostrato in diverse forme di linguaggio: dalla sua densità materica in pittura fino all’immaginazione dello stesso nelle proiezioni». 

Nei tuoi progetti c’è una forte attenzione al sociale. Da cosa nasce questa tua sensibilità?
«Le mie opere non nascono per denunciare solo tematiche sociali ma per far riflettere su come certi argomenti che ci sembrano distanti siano invece parte della quotidianità di tutti. Ogni artista riceve input dal mondo che lo circonda e per questo anche un po’ involontariamente le mie opere possono toccare certi argomenti. Ma lo smarrimento, il sentirsi bloccato in una realtà che non ci appartiene e la voglia di un futuro migliore sono emozioni che ognuno di noi prova costantemente. I miei lavori quindi hanno l’ambizione di voler far riflettere lo spettatore, ponendogli delle domande a cui possa dare una risposta».
 

Che rapporto hai con il colore?
«In tutte le mie opere generalmente uso colori vivaci, sgargianti e fluo. Ad un primo sguardo sono tinte felici ma colorano opere piene di un altro significato mettendo in discussione l’identità del lavoro stesso. Il colore diventa quindi il modo di rappresentare la voglia di un cambiamento. Non riuscirei mai a immaginare opere prive di colore perché da ogni sfumatura ricevo un’emozione, un sentimento diverso ma positivo che serve a chiudere la mia espressione artistica».

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