Lo Spazio Amato di Uberti

Capalbio (GR)

Domenica 26 Luglio ha inaugurato Spazio Amato, l’installazione luminosa di Massimo Uberti che fino al 15 settembre dal tramonto fino a notte inoltrata darà un nuovo significato al paesaggio incomparabile delle Terre di Sacra, che ospitano l’ Oasi del WWF del Lago di Burano a Capalbio (GR). Un lavoro che sta destando la curiosità e attenzione di tutti coloro si trovino a frequentare quella zona in questi giorni, tanto da diventare quasi un’opera iconica dell’estate 2020. Massimo Uberti la racconta così.

In occasione di Hypermaremma, come è stato confrontarsi con il paesaggio naturale, pressoché incontaminato, delle Terre di Sacra e dell’Oasi WWF di Burano in cui sorge Spazio Amato? In che modo il tuo intervento opera una funzione di riscrittura del paesaggio circostante e del contesto?
«Partiamo dal presupposto che lavorare en plein air è decisamente più stimolante che non nel chiuso del cubo bianco, detto questo il confronto con il paesaggio prevede il comprenderne l’essenza, il che ti costringe a viverlo per poterne capire l’ anima. Ci sono colori, odori o la variazione della luce durante il giorno che diventano parte del lavoro. Sostanzialmente devi osservare e essere a tua volta spettatore, tenendo semplicemente i sensi aperti, devi essere ricettivo a tutto quello che c’è, che ti circonda e ascoltare ciò che ti offre questa terra; in questo caso specifico è un’oasi del WWF, il che non è poco se pensiamo a quanti elementi devono essere co-protagonisti in un intervento del genere per poter rispettare l’ equilibrio di questo eden silenzioso senza stravolgerlo».

Le tue opere rappresentano un momento di trapasso, una soglia che segna l’incontro di «due architetture, una reale e una virtuale». A questo proposito, come hai scelto di operare sul sito, e quali sono stati i moventi ma anche gli spunti di riflessione che ti interessava attivare nel fruitore?
«Hai detto bene ”l’incontro di due realtà” che si manifestano contemporaneamente, il mio compito è quello di renderle evidenti entrambe allo stesso tempo, creare quell’attimo di sospensione tra la realtà e la poesia. Se posso suggerire un particolare direi di osservare il riflesso d’oro che la luce genera sul campo di grano al tramonto. Potrebbe sembrare semplicemente una inevitabile conseguenza del lavoro, in realtà lo considero il vero corpo dell’opera».

Partendo dalla fotografia, come matrice di scrittura luminosa, e sviluppando le possibilità spaziali implicite nel progettare architettonico, hai sviluppato un corpus di opere che si identificano con lo spazio secondo la formula simbolica di Essere spazio. Come si relativizza il valore di questa formula in relazione agli spazi naturali, come quello della Maremma, in questo caso, o agli spazi costruiti dall’uomo?
«Gli spazi possono essere vasti e naturali o anonimi e contorti, come le periferie, i luoghi invece hanno un anima, sia che si trovino in aree urbane o sull’alto di un monte. È il nostro sguardo che ne cambia il paesaggio abitandolo. Se rispettiamo la natura dei luoghi, l’essenza di ciò che c’era resta. Ciò che cambia è l’ habitat, non la sua anima».

Spazio Amato, sita all’interno dell’oasi delle Terre di Sacra sullo sfondo della lago, attiva uno sguardo inedito sul paesaggio. La torre di Buranaccio posta sulla riva opposta dello specchio d’acqua viene come evidenziata in maniera indiretta dal tuo intervento. Come hai individuato il luogo esatto in cui situare l’opera?
«C’è stata una prima selezione del luogo da parte di Carlo Pratis e Giulia Puri Negri che ci ospita nelle Terre di Sacra su alcune mie indicazioni, questo mi ha aiutato molto nella decisione finale sul posto giusto. Conoscevo già la Maremma, frequentata a lungo nel corso degli anni, poi quando sono stato invitato a fare un sopralluogo per provare a inserire un lavoro in questo paesaggio l’ho sentito come un onore e un privilegio, da lì l’individuazione di questo luogo».

Nella tua ricerca mi hai detto di aver identificato quattro formule simbolico-spaziali che connotano lo spazio in dialogo con le tue opere. Mi sembra si tratti di quattro punti cardinali che orientano il tuo intervento in senso poetico e sociale: mi riferisco in particolare alle formule ”Spazio Amato”, ”Altro Spazio”, ”Essere Spazio” e ”Spazio Necessario”. L’installazione realizzata in occasione di Hypermaremma recita ”Spazio Amato”: come si inserisce e che valore assume questa didascalia in relazione al territorio e all’attualità?
«I quattro punti cardinali che hai citato sono anche le quattro pietre angolari su cui ho costruito tutto il mio lavoro. In questo caso specifico direi che sono riassunte in uno.  Riguardo all’attualità trovo che sia una grande soddisfazione per tutti constatare che è in corso una sorta di pellegrinaggio che si ripete ogni sera al tramonto, soprattutto di giovani. Si siedono ai bordi del campo e aspettano fiduciosi lo spegnersi di altro giorno. Meraviglia».

Come è stato ritrovarti a lavorare nel contesto di Hypermaremma, all’interno di una manifestazione dalle caratteristiche abbastanza fuori dall’ordinario e soprattutto in un anno così speciale?
«È
 stato appunto fuori dall’ordinario, direi entusiasmante. Dopo un periodo terribile come quello che abbiamo passato, ritrovarsi a lavorare con un gruppo di giovani motivati, in questo contesto naturale dal tempo sospeso è la cosa migliore che possa succedere a un artista. Il risultato è qui davanti a noi in questo campo di grano, uno spazio amato».

Info: www.hypermaremma.com