A tu per tu con Emanuele

Roma

Mecenate, accademico, filantropo. Il prof. avv. Emmanuele F.M. Emanuele, presidente onorario di Fondazione Roma e presidente di Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, anche durante la crisi Covid non ha rinunciato al suo ruolo di fautore di Bene comune. Lo ha fatto con importanti donazioni in favore dell’Istituto Spallanzani e della Caritas, che sono servite non solo a sostenere economicamente due realtà strategiche per la gestione dell’emergenza, ma anche per rinforzare quel senso di comunità fondamentale per affrontare insieme un momento delicato della nostra storia. Solo gli eventi espositivi a Palazzo Cipolla hanno dovuto subire una brusca frenata, ma anche su quelli ci sono importanti novità a cominciare dal prossimo autunno. Ne abbiamo parlato direttamente con lui, tra riflessioni di carattere sociale e culturale, impressioni, punti di vista e un sincero e affettuoso ricordo di Germano Celant, con cui il professore ha collaborato.

Come sta ripartendo la Fondazione Cultura e Arte dopo il lockdown? Quai progetti espositivi state preparando?
«La Fondazione in sostanza non si è mai fermata durante il periodo del lockdown perché i bisogni della gente – non più di livello culturale, artistico, istruzione e quant’altro – si sono manifestati preminentemente nel bisogno di sopravvivere mediante aiuti atti a consentire ai bisognosi di cibare loro e le loro famiglie. Pertanto, durante i famosi 70 giorni di lockdown io costantemente, affiancato da due bravissimi miei collaboratori, ho provveduto a dare risposte concrete ai bisogni dei meno fortunati. Nonostante questa priorità assoluta non ho dimenticato che la cultura e l’arte sono le attività che mi hanno consentito di mantenere in equilibrio il mio impegno esistenziale e pertanto non ho smesso un attimo di ipotizzare una grande mostra dopo quella di Alsoudani, che abbiamo dovuto sospendere a Marzo scorso e che speriamo di poter inaugurare nella primavera prossima, e sto organizzando una mostra di Manolo Valdès, questo grande artista spagnolo, per il quale grazie alla collaborazione del Vice-Sindaco di Roma sono riuscito ad ottenere che le principali piazze della città saranno popolate dalle statue di questo grande artista. La mostra è prevista con apertura il giorno 15 Ottobre, a cura di Gabriele Simongini ed in collaborazione con la Galleria Contini di Venezia, e speriamo che il Covid ci consenta di realizzarla e non ne impedisca la fruizione». 

La Cultura, come molti altri settori, ha dovuto sopportare le gravi conseguenze della pandemia. Come crede che la si possa aiutare a risollevarsi?
«Ho sempre sostenuto che la cultura è l’unico vero grande asset del nostro Paese visto che purtroppo dobbiamo prendere atto che la grande industria statale non esiste più e l’industria privata è in grande difficoltà a causa della pressione fiscale e della oppressione burocratica. Io ho sempre pensato che la meraviglia del nostro Paese, che ospita le più belle e armoniose realtà estetiche naturali e quelle create dall’uomo, sia nell’universo mondiale un punto assolutamente di bellezza irripetibile. Credo che la politica avrebbe dovuto tenere conto di quanto dico e intervenire in maniera massiva per sostenere gli imprenditori, come nel caso nostro privi di interessi di lucro, potenziando, così facendo, queste attività. Non è stato così, e tra le tante promesse che sono state fatte agli italiani, è mancata quella che forse più mi aspettavo, una risposta che gratificasse almeno dal profilo estetico ed intellettuale i cittadini del nostro Paese».  

Dal punto di vista economico e sociale, crede che questa pandemia ci abbia lasciato, oltre a tanti problemi, anche qualche spunto di riflessione per il futuro?
«Tutti sono convinti che quando la pandemia finirà il mondo sarà migliore e tutti noi saremo migliori. Io non la penso così. Il mondo sarà com’è stato fino ad oggi: un mondo di conflitti, di contrapposizioni, dove la globalizzazione ha avuto una parte gigantesca nella devastazione delle identità nazionali e dove i risultati non si sono manifestati positivi come tutti, tra cui il sottoscritto, auspicavano. Che noi ci si ritrovi più buoni, più gentili, più armoniosi, sono profondamente convinto che non accadrà».  

Con le sue Fondazioni lei ha dimostrato grande partecipazione ai problemi del Paese. In particolare con due importanti donazioni, una allo Spallanzani e una alla Caritas. Cosa vi ha spinto a questi importanti gesti? 
«Quanto ho detto in premessa: la gente ha bisogno di consumare cibo per sopravvivere e noi abbiamo dato una risposta sentita con grande intensità attraverso la donazione di 1.000.000 di euro alla città di Roma che verrà distribuita dalla Caritas alle parrocchie. Inoltre, da uomo mediterraneo quale sono e resto, ho pensato di distribuire 700.000 euro in quel meridione d’Italia nelle città di Napoli, Cosenza, Reggio Calabria, Trapani, Palermo, Enna, Agrigento, per consentire anche a quelle popolazioni di poter avere una risposta al bisogno elementare della sopravvivenza. Abbiamo ritenuto, infine, di donare 500.000 euro allo Spallanzani per la ricerca su questo virus del Covid-19 che, come dovremmo ben capire, è un virus mutevole e come tale potrebbe accadere che una volta trovata la soluzione per questo, tra qualche tempo compaia un virus Covid-20 pronto a continuare la strage degli innocenti». 

Purtroppo il virus ha lasciato una traccia indelebile nei lutti provocati alle persone. Due di questi, in particolare, sono stati vissuti da tutta Italia, e soprattutto dalla comunità artistica, con molto dolore. Parliamo di Christo e di Germano Celant. Lei ha conosciuto Celant e con lui ha collaborato per la mostra di Arman a Palazzo Cipolla. Se la sente di condividere il suo ricordo? 
«Assolutamente sì. Un critico d’arte e curatore indimenticabile, un uomo di una cultura e di uno spessore intellettuale di primissimo piano che ha sicuramente contribuito con la sua visione alla mostra di Arman da me fortemente voluta e che grazie a lui ha potuto avere il successo che ha avuto».

L’Italia nelle settimane del lockdown ha accelerato moltissimo nel processo di trasformazione digitale. Per lo meno a livello educativo e culturale. Bisogna riconoscerle che da tempo lei insiste sull’importanza delle tecnologie digitali. È da molti anni un mondo che le suscita molta curiosità. Non è così? 
«Io credo di poter dire di essere protagonista nella creazione di un’istituzione museale, il Museo del Corso, che annovera tra i suoi capolavori opere dal ‘400 ad oggi, convinto come sono che l’arte non ha tempo, non ha periodi, ma è un fluire ininterrotto che parte dalla mente e dal cuore dell’uomo, e che quindi bisogna farla ammirare in tutta la sua interezza. Sono orgoglioso di affermare che ho raccolto in un unico museo quelle opere d’arte dal ‘400 fino ad altre degli street-artist di fama mondiale che hanno illuminato con le loro opere un quartiere periferico di Roma come Tor Marancia , ma sono addolorato di dover dire che a causa della burocrazia di questo Paese, ed in particolare di questa città, che da cinque anni mi denega la possibilità di aprire al pubblico gratuitamente lo spazio espositivo, nonostante io paghi tutte le spese per ristrutturarlo e renderlo fruibile, questo progetto ancora non ha visto la luce. Ho inserito quindi in questo progetto museale la digitalizzazione, che consente ai visitatori di scoprire il contenuto e la storia dell’opera d’arte attraverso la lettura via app. Sono convinto che la tecnologia digitale sia sempre più un’esigenza. Io ricordo di essere nato nell’epoca in cui intingevo la penna nel calamaio, ed oggi sono tra coloro i quali leggono i giornali sul tablet; insegno Scienza delle Finanze in via telematica per l’Università Telematica San Raffaele – dopo averla insegnata nelle università di Roma alla LUISS, alla Link Campus e all’Università Europea direttamente o, come si dice, frontalmente – e partecipo ai Consigli di Amministrazione e alle conferenze attraverso le piattaforme Zoom e Cisco Web Meeting».

Torniamo all’Arte. C’è un progetto che ha in testa che le piacerebbe realizzare nei prossimi mesi?
«
Si tratta di un progetto a cui sto lavorando con intensità e al quale amerei dare vitalità e visibilità, se fosse possibile, anche prima della mostra di Alsoudani che intendo realizzare la prossima primavera. La mostra che ho in mente è quella che consentirà di mostrare le opere degli artisti italiani e internazionali che sono stati durante il periodo del lockdown reclusi nelle loro case e hanno sfogato le loro disperazioni in maniera artistica. Questo progetto mi piacerebbe molto, e il titolo sarebbe: “L’arte non si ferma neanche di fronte alla pandemia».