Il museo delle periferie

Roma

Dal Macro Asilo al Rif, il museo delle periferie. Giorgio de Finis grazie al Comune di Roma e all’azienda Palaexpo vede realizzarsi un progetto su cui lavorava da anni e che rappresenta una certa continuità con quanto aveva fatto con il Maam e con l’impostazione che aveva dato al Macro. Sorgerà a Tor Bella Monaca, la periferia più periferia di Roma, e sarà un punto di incontro di artisti e studiosi per riflettere sul tema dell’abitare. Ce ne parla proprio lui Giorgio de Finis, ideatore e neodirettore del museo.

Da quando progettavi questa iniziativa?
«Il Rif è nato nell’ambito delle attività del Macro Asilo. Doveva, nelle intenzioni iniziali, esserne in un certo qual modo una costola, con base a Tor Bella Monaca. Anche se fin dall’inizio con un compito preciso, quello di occuparsi di ciò che “circonda” il centro, allargando i confini di Roma ben oltre quelli della città storica. Rif è parte della parola periferia, ma sta anche per ”rifondazione”». 

Ora è ufficiale. Cosa sarà il Museo delle periferie? 
«Sì, è ufficiale. L’amministrazione ha annunciato la nascita di questo nuovo museo della Capitale nell’ambito della recente conferenza stampa dedicata all’estate romana (che pare non si chiamerà più così). Sarà il quarto pezzo del polo delle culture contemporanee voluto dall’assessore alla crescita culturale e vicesindaco Luca Bergamo e gestito dall’Azienda Speciale Palaexpo». 

Perché Tor Bella Monaca?
«Perché nell’immaginario è la periferia più periferia di Roma, e perché il Municipio Roma VI lo ha fortemente voluto, nella persona dell’assessore Alessandro Gisonda, col quale da un anno lavoro al progetto, e del suo presidente Roberto Romanella». 

Di fatto il museo aprirà entro un paio d’anni. Ma intanto succederanno molte cose? Di che si tratta?
«La sede fisica del museo, che è un’opera a scomputo, ci auguriamo sia pronta entro un anno e mezzo. Ma il museo è già operativo. A settembre completeremo il ciclo di opere murarie avviate al blocco R8 di Largo Ferruccio Menganoni, e, in collaborazione col Teatro di Tor Bella Monaca, già in autunno inviteremo artisti e studiosi da tutto il mondo per un primo ciclo di lectio magistralis sul tema delle metropoli, l’habitat dei sapiens del Terzo Millennio. Il Rif ospiterà una biblioteca specializzata, una videoteca, sarà promotore di residenze artistiche, conferenze, cicli di incontri, progetti di ricerca, mostre, pubblicazioni, interventi urbani. E a partire dal 2022 anche un festival delle periferie. Tra gli obiettivi già allo studio del Rif, la realizzazione di una ”Guida alla periferia di Roma” e la costituzione di una rete di ricercatori, artisti, architetti, e istituzioni che ci permetteranno di dare vita al centro studi sulle periferie urbane, che è l’altra faccia del museo».

Come puntate a radicarvi sul territorio?
«Lavorando e facendo bene il nostro lavoro. Che è anche quello di valorizzare ciò che già c’è e che è fatto bene da altri». 

Esisterà anche una collezione? 
«Sì, il museo avrà una sua collezione, anche disseminata nel territorio. Ma soprattutto collezionerà le esperienze artistiche, architettoniche, sociali e politiche che le periferie del mondo hanno saputo generare per rispondere in modo originale, inaspettato, vitale, a marginalità e subalternità». 

Quale sarà l’obiettivo lungo termine? 
«Qualche anno fa proponemmo la creazione di un museo archeologico in cima al Corviale. Lo chiamammo (io e l’architetto Carmelo Baglivo) Corviale Capitolino. L’idea era semplice (e, anche se utilizzava materiali archeologici, apparteneva al “contemporaneo”). Si trattava di portare sul tetto di questo edificio di edilizia popolare lungo 1 Km, un pezzo del tesoro cittadino, sino ad ora riservato alla città “storica” e monumentale contenuta dal solco tracciato dall’aratro di Romolo. Era un gesto che simbolicamente provava a riparare, con duemilasettecento anni di ritardo, il torto subito da Remo e dalla sua progenie, esclusa dall’eredità. Vorrei che il Rif, anche senza il Galata morente, avesse un’analoga capacità attrattiva di quel progetto visionario e al tempo stesso il medesimo valore simbolico, che contribuisse cioè a fare di Tor Bella Monaca (e delle altre periferie romane) un pezzo di città da valorizzare e da scoprire. E che riducesse la distanza da quel “punto zero” che è il Campidoglio, il Centro del centro, da cui si misurano le distanze, quelle spaziali, ma anche troppo spesso quelle economiche e sociali. Più ci si allontana dal Km zero, più si appartiene, volenti o nolenti (e nonostante i tanti ragionamenti sulla città policentrica) al Margine».