Addìo Christo

New York

Si è spento a 84 anni l’artista noto per i suoi ”impacchettamenti” di monumenti ed edifici. Artista bulgaro ma di adozione statunitense, Christo Vladimiro Javacheff è mancato domenica 31 maggio per cause naturali a New York, nella sua casa, e l’annuncio è arrivato tramite i canali social dell’artista, che è stato uno dei massimi esponenti della Land Art e di cui le opere compongo una pagina essenziale dell’arte contemporanea.

Quando si parla di Christo, si parla di opere titaniche di incantevole eleganza, che trascendono i limiti delle arti tradizionali di pittura, scultura e dell’architettura. Si parla di uno stile inconfondibile, di installazioni che durano qualche settimana, ma che riconsiderano l’ambiguità tra codice estetico, stereotipo e identità fisica. Christo, con la sua arte, ridisegnava e ripensava il paesaggio, con l’obbiettivo di realizzare la visione personale dell’artista, cambiando l’immagine del mondo applicando la sua arte a manufatti dalla forte valenza iconica. Il suo prossimo progetto, rimandato all’autunno 2021, sarebbe dovuto essere l’ ”impacchettamento” dell’Arco di Trionfo, a Parigi, dove tornava per la seconda volta. Con l’Italia, invece, l’artista e sua moglie Jean-Claude hanno intrattenuto una lunga relazione. I due artisti avevano avvolto nel propilene bianco e nelle corde la Fontana di Piazza del Mercato e il Fortilizio dei Mulini a Spoleto in occasione del Festival dei Due Mondi negli anni Sessanta. Wrapped erano state le mura pinciane di Roma nel 1974, dove l’artista fu aiutato da Guttuso nel progetto coordinato da Guido Le Noci, amico che aveva ospitato nella Galleria Apollinaire di sua proprietà due personali dell’artista e di sua moglie. A Milano, Christo ”impacchettò” la Statua Equestre di Re Vittorio Emanuele II e il monumento a Leonardo da Vinci in Piazza della Scala, provocando non poche critiche cittadine. Nel 2016 aveva realizzato la memorabile opera The Floating Piers nelle acque del Lago d’Iseo, dove 70mila metri quadri di telo giallo poggianti su un sistema modulare di pontili galleggianti sull’acqua hanno dato la possibilità di camminare sulle acque e attirare oltre un milione di visitatori in soli 16 giorni.

Per ridisegnare ciò che sembrava impossibile, secondo la propria visione politica, l’artista combatteva contro la burocrazia, misurandosi continuamente con realtà gigantesche, proprio come le sue creazioni. Le sue opere erano titaniche tanto quanto la lunga trafila da percorrere per ottenere permessi e concessioni, senza avere alcun committente, con l’unico obbiettivo di misurarsi con una dimensione ambientale, di modificare e ridisegnare il mondo anche solo per un tempo circoscritto e limitato. Da un lato quindi opere dall’impatto spettacolare, che modificavano il contesto naturale, dall’altro un’impresa straordinaria tra tecnologia e questioni legali, coperture economiche, che portavano a trasformare gli stessi progetti in azioni imprenditoriali, rendendo così l’artista non un oggetto mercato ma il soggetto di un’economia dell’arte, di cui l’opera è essenzialmente momentanea e passeggera.

In più di cinquant’anni di carriera tra i suoi impacchettamenti il primo fu la Kunsthalle di Berna. In Germania tornò a impacchettare il Reichstag di Berlino (1955), fu poi la volta di Parigi, con il Pont Neuf di Parigi (1985). Si ricordano poi Wrapped Coast, Little Bay a Sydney (1968-1969), Vallert Curtain in Colorado (1970-1972), Running Fence in California (1972), Surrounded Islands a Miami (1980-1983), The Umbrellas in Japan and California (1984-1991), The Gates a New York (1979-2005) e The London Mastaba a Londra (2016-2018).