Giovanni Longo è un giovane artista calabrese. Sperimenta molteplici linguaggi e raccoglie costantemente materiale che cataloga e usa veicolando informazioni che il fruitore coglie, andando oltre la mistificazione strutturale dell’opera. Lui è un altro dei 4 artisti del collettivo Basement, che quest’anno lavora negli atelier di Fondamenta, lo spazio di Inside Art.
Giovanni, tra i molteplici mezzi che sperimenti è costante l’uso di elementi casuali. Da dove nasce questo interesse? «La casualità è un elemento che vedo molto vicino alla nostra esistenza e mi interessa perché la rende imprevedibile. Tramite elementi casuali l’osservatore può cogliere lo studio alla base della mia ricerca. Quello che infatti fornisco con la mia arte sono informazioni parziali che il fruitore può interpretare, decifrare, e che se non fossero così trasmesse probabilmente non sarebbero oggetto d’interesse».
Ad esempio? «Opere paradigmatiche sono Fragile Skeletons. Con il lavoro di mimesi veicolo informazioni scientifiche nate dallo studio di anatomia comparata. Ogni elemento recuperato non è modificato nella sua forma, ma è da me catalogato in base alle sue caratteristiche che associo a quelle che servono per la creazione dell’opera. Le varie parti compongono questa sintesi strutturale così per come sono, conservando il loro carattere intrinseco».
Le opere del ciclo Fragile Skeletons, nato nel 2005, colpiscono proprio perché tu non modifichi il singolo elemento. Come nascono? «Uso il driftwood, legni recuperati sulle spiagge delle fiumare calabresi che vengono dal passato e sono lavorati dalle acque, scavati dagli insetti ed erosi dal tempo. Assemblandoli, dopo averli catalogati nel mio archivio, creo strutture di scheletri di animali, o particolari sezioni, usando legno, gommapiuma e ferro zincato. Ogni componente, frutto di questa raccolta casuale, diventa portante, parte funzionale, e tra essi si creano legami dipendenti».
Come la tua poetica ricorre con media diversi? «Tutte le mie opere danno informazioni che possono essere importanti o superflue, ciò che mi interessa è individuare un momento intermedio nel quale far intervenire la mente del fruitore. In Economic Landscapes, ad esempio, i paesaggi nascono da diagrammi economici di certe situazioni difficili della realtà umana. Il visitatore osserva il paesaggio dal forte impatto estetico e, dopo avere letto il titolo dell’opera, rileva che sono dei semplici grafici, dando altra analisi a quei fattori numeri. Nella video-installazione Italian Dream, invece, un’applicazione web autodefinisce l’intimo dialogo di una chat in un sogno che si rincorre senza concretizzarsi. Le frasi, campionate random tra le mie chat private, sono spesso comuni espressioni che creano empatia con il fruitore che le può decifrare come vuole. L’opera testimonia lo stallo di una generazione disillusa che non smette di credere nei propri sogni».
Dov’era prima il tuo studio? «In Calabria, dove vivevo. Oggi vivo a Roma, che è base ideale per i miei spostamenti e mie esigenze lavorative. Ho atteso che tante cose sedimentassero in questa nuova realtà, ora ho trovato uno studio, ed eccomi qui. L’archivio, però, è rimasto in Calabria».
Nuovi progetti? «Ho già sperimentato l’unione di strutture anatomiche con elementi architettonici artefatti e porterò avanti questa direzione. Vorrei incanalare le mie anime in qualcosa che comunichi in modo più specifico e sto lavorando, ad esempio, sul concetto di evoluzione delle specie, ma non ho fretta: il mio ritmo è esclusivamente scandito dall’aspetto della mia ricerca che va di pari passo con la mia crescita personale».