Atelier#1. Margherita Giordano

Roma

Le pitture e le illustrazioni di Margherita Giordano sono il frutto dell’analisi della natura umana a fronte di un’esigenza comunicativa. La sua ultima creazione, esposta a Fondamenta, è concepita proprio come un alfabeto dell’anima per riflettere sull’ascolto delle emozioni.

Margherita, lo spazio in cui si crea è parte fondamentale di ogni artista. Com’è lavorare qui? «Un salto di qualità notevole. Prima lavoravo nella mia casa-studio dove per ragioni di studio-visit gestire spazio pubblico e privato era complicato e le mie opere originali erano necessariamente di dimensioni ridotte. Qui ho trovato stabilità, mi sono radicata in questo atelier che ha dato a me e alla mia arte solidità e rigore».

Il tuo percorso è particolare. Sei diplomata in Scenografia e poi in Interior Design. Ti interessi di psicoanalisi e Arteterapia. Come dialogano gli aspetti della tua formazione? «Della scenografia dell’architettura utilizzo l’elemento geometrico fortemente progettuale. L’elemento astratto e colorato nasce invece dall’interesse per la psiche e per la componente inconscia. In ogni creazione si evincono questi aspetti, anche nelle ultime illustrazioni esposte a Fondamenta. Dai tradizionali Tarocchi marsigliesi ne ho creati altri, con una mia simbologia, dopo aver studiato teorie psicoanalitiche, la filosofia esoterica e la simbologia. Attraverso la struttura geometrica e i colori dell’opera alchemica i miei tarocchi sono una ricerca sulle forme originarie dell’animo umano, rappresentando emozioni negative e positive».

Quando ti sei resa conto di avere così tanto da esprimere? «Il primo ricordo è di quando a dodici anni ho visitato il Musée d’Orsay, da cui ero rimasta totalmente folgorata per l’impatto con le opere e dall’allestimento. Dopo il diploma, lo studio in Accademia mi ha dato i mezzi per esprimermi: l’indagine geometrica dà forma e ordine alla sostanza della mia percezione delle forme che riscontro in natura».

Quali tecniche usi principalmente? «Dipende. L’elemento del chiaroscuro classico a grafite o carboncino è quello che mi rappresenta di più, per la componente dolorosa in quanto segno nero su bianco e perché la modulabile sfumatura esemplifica il cambiamento a livello interiore. I colori sgargianti come gli inchiostri ad alcool, di vivace pigmentazione e impatto visivo usati su materiali sintetici, sono invece legati a momenti di solarità».

Ti contraddistingui per il forte interesse circa le emozioni negative. C’è una ragione? «Nel 2015 ho subito due lutti gravi. Ho intrapreso un percorso di psicoanalisi e l’arte ha avuto capacità trasformativa. Sono riuscita a guardarmi dentro senza paura anche a scapito del dolore. Ho nobilitato le mie sofferenze, le ho letteralmente monetizzate, e sono entrata nel mercato dell’arte. Da lì ho sentito che dovevo portare avanti una missione e questo è il messaggio della mia poetica. Se ho creato qualcosa in un momento in cui ho percepito dolore, ho già trasformato la sofferenza in qualcos’altro di fruibile».

Prossimi progetti? «Mi piacerebbe dedicarmi all’istallazione, su cui non mi sono ancora mai cimentata, ma che ho riscoperto grazie al progetto Basement. Il senso del Collettivo è cercare la singola trasformazione acquisendo linguaggi ibridi creati insieme. Ora sto lavorando al compimento della serie dei miei tarocchi e alla promozione del cofanetto delle carte contenente un piccolo libro di artista fresco di stampa, chissà che non ne esca qualcos’altro…».