Cos’ è Hypermaremma

Capalbio

Cosa sta succedendo in Maremma? Capalbio, Ansedonia, l’Argentario, posti meravigliosi dove la natura si è sbizzarrita nel comporre paesaggi incantevoli, sono diventati teatro di interventi artistici a ripetizione. Una serie di innumerevoli artisti contemporanei, ognuno dei quali sta traducendo il proprio dialogo con il territorio in opere site specific, che forniscono un racconto profondo e suggestivo di questo angolo d’Italia. Il progetto si intitola Hypermaremma e ora, sul flow della stagione estiva, si sta trasformando in una tappa irrinunciabile per gli itinerari contemporanei. Ne abbiamo parlato con i due curatori, Carlo Pratis e Giorgio Galotti.

Come nasce l’idea del progetto?
Carlo e Giorgio: «L’idea nasce da una serata di inizio estate insieme insieme. Da un’ ipotesi nata per scherzo, ma che forse ha celato fin da subito il bisogno di proiettare le nostre energie in un luogo d’affezione, un luogo dove entrambi abbiamo speso la maggior parte delle nostre estati».

Perché la Maremma e soprattutto perché questo nome?
C&G: «La Maremma perché come prima abbiamo accennato è un luogo che ci ha visto crescere. Un luogo però che con la sua meravigliosa ed eterna immutabilità è rimasto anche senza una rete di eventi, di momenti di incontro e dialogo. Quindi la Maremma anche per un’ esigenza contingente, che nasce dal vuoto che volevamo provare a riempire per noi stessi innanzitutto. Il nome l’abbiamo pensato appunto per la sua intrinseca ironia. Il contrasto tra questa placida immobilità del territorio rispetto a qualcosa di invece veloce e repentino, come l’iperattività di un corpo che fermo a lungo non sa stare, qualcosa che abbia un sapore fantascientifico, fatto di una moltitudine di eventi, mostre e apparizioni, come fossero una vertiginosa costellazione».

A livello curatoriale e progettuale com’è lavorare in un contesto come questo, fuori dalle mura della galleria?
Carlo Pratis: «Personalmente non ero assolutamente preparato ad una cosa del genere. Selezionare delle opere necessariamente in grado di dialogare con un paesaggio d’eccezione e concepire un allestimento trasversale che attraversi un luogo meraviglioso come l’Antica Città di Cosa e non sia racchiuso nelle mura della galleria o di una fiera ha richiesto totalmente dei nuovi parametri con cui confrontarsi».
Giorgio Galotti: «Da molto tempo cerco di portare il programma della galleria fuori delle mura di uno spazio statico per provare a creare nuovi spunti di riflessione che solo un’opera d’arte, un atto o un semplice gesto sono in grado di stimolare. Così quando con Carlo ci siamo trovati a discutere di questa possibilità per me era già avviata, non ho esitato un secondo».

A proposito di Fiere, perché investire energie e sforzi in un progetto del genere rispetto invece a seguire il trend dominante che è quello di puntare tutto su una ormai solida rete fieristica?
Carlo Pratis: Carlo Pratis: «In tutte le settimane di durata del progetto, in cui passavo da castelli medievali a rovine di città romane a picco sul mare, da stalle a tenute agricole che si perdevano a vista d’occhio, ho pensato all’ambiente fieristico tipo. Ho pensato a cosa voglia dire ogni volta passare 10 ore sotto i neon in un ambiente alienante e sempre piú simile ad un centro commerciale. La risposta è presto detta».
Giorgio Galotti: «Sono contrario all’offerta del sistema attuale, la necessità per le gallerie di partecipare alle fiere ha reso tutto estremamente superficiale, costringendo le stesse a presentare oggetti che possano trovare un destinatario, più che vere e proprie opere d’arte. Questo modo di vivere continuamente in questo stato di mancanza di contenuti per favorire il mercato non fa altro che acuire in me la necessita’ di focalizzarmi su qualcosa di diverso che possa offrire agli artisti una maggiore interazione con il mondo reale».

Abbiamo parlato degli artisti coinvolti, una vera e propria comunità di talenti. Sono riusciti a fare ”parlare il territorio”?
Carlo e Giorgio: «Quest’anno abbiamo scelto come omaggio ad un grande artista del passato di presentare un lavoro iconico di Mauro Staccioli. Grazie a Marco Niccoli e Andrea Alibrandi, che affiancano l’archivio del maestro, è stato possibile riuscirci nel migliore dei modi. Tutti i progetti e le opere presentate, da Pasqua in poi, hanno puntato proprio su questo dialogo. Dal cancello in ferro battuto e ceramica di Emiliano Maggi disperso in mezzo agli ulivi del Parco archeologico di Ansedonia, all’ ipnotico live di buchla (synth) e tabla durante il tramonto di Filippo Brancadoro e Sanjay Kansa Banik nella Tenuta del Diaccialone, passando per l’assurdo uccello dorato in ceramica di Benedetto Pietromarchi che ha troneggiato sulla sommità della torre del castello di Capalbio fino ai vessilli in tessuto di Renata de Bonis, sulla porta romana dell’ Antica Città di Cosa, con la loro scritta emblematica ”Terra Breve”».

Come sta rispondendo la gente del posto?
Carlo e Giorgio: «Per assurdo gran parte della sua forza il progetto l’ha avuta proprio dalla gente legata al territorio con cui ci siamo interfacciati. Dall’ex sindaco di Capalbio, Luigi Bellumori, a Mariangela Turchetti, direttrice del museo e dell’area archeologica dell’Antica Città di Cosa che ci hanno sostenuto subito a scatola chiusa con un’ assurda fiducia. Per non parlare poi di Guido e Matidia Pallini, proprietari del Diaccialone, una delle più belle tenute della bassa Maremma dedita all’allevamento di bufale, che come parte integrante del progetto ha ospitato un incredibile live diurno di musica sperimentale curato da Radio Circolo. Il progetto al parco archeologico e la mostra di Schillaci e Kratz sono visibili fino a Settembre».

Come sono andati questi due capitoli del lungo racconto?
Carlo Pratis: «Assolutamente al di sopra di ogni nostra aspettativa possibile. La grande mostra di scultura ambientale al parco archeologico di Ansedonia e la mostra di pittura nelle storiche stalle del maneggio di Sant’Irma racchiudono in se stesse esattamente l’equilibrio che volevamo che Hypermaremma avesse. Bilanciare cioè progetti in luoghi museali con progetti invece in luoghi non convenzionali, ma che portassero dentro la magia e la forza del territorio. E questo bilanciamento ovviamente si riflette anche sui soggetti coinvolti. Da una parte istituzioni come il Comune di Capalbio o il Polo Museale della Toscana, dall’altra privati illuminati come Roberto Lombardi, Lorenzo Bassetti e Massimo Mininni che hanno reso possibili le mostre e gli eventi, credendo nel progetto, supportandolo personalmente e mettendo a disposizione le loro case».
Giorgio Galotti: «L’idea di partire da una forte aderenza al territorio, utilizzando una veste grafica che riporta alla mente quella delle sagre culinarie di zona, e portarne avanti la narrazione in capitoli e atti, come se fosse un unico racconto, ci ha permesso di poter sviluppare un progetto che, visto nel suo insieme, dal primo atto del primo capitolo al secondo atto del terzo, ne definisce un senso complessivo. Ci siamo occupati di linguaggi performativi, pittorici, scultorei, sonori e installativi alla pari, confrontandoci sempre con gli enormi pregi e limiti dei luoghi occupati. E questo racconto vogliamo che prosegua con la stessa intensità andando a coinvolgere altri luoghi che molti dei visitatori di questa terra non conoscono o non hanno avuto modo di visitare attentamente».

Cosa vi aspettate che lasci questa esperienza nel dna di questo territorio? 
Carlo Pratis: «Dal mio punto di vista in realtà quello che viene lasciato al territorio è proprio la possibilità di poter essere rivisto e rivissuto con una diversa chiave di lettura, che è quella che con arte e musica viene automaticamente innescata. Ci sono luoghi al di sopra di ogni immaginazione in bassa Maremma che per un motivo o per l’altro si finisce per non tornare mai a rivisitare. Quindi credo sia questo, poter avere una scusa per rivivere il territorio con una diversa esperienza visiva e sonora ogni volta.
Giorgio Galotti: «Credo fortemente nella celebrazione dei luoghi esistenti e della loro storia attraverso la visione di chi ha la sensibilità per interpretarli sottolineandone alcuni aspetti. L’unico ruolo che gli artisti dovrebbero avere è quello di occuparsi della loro visione, e questo progetto, a detta dei tanti artisti intervenuti, lo ha dimostrato. Il nostro ruolo, di organizzatori più che curatori, dovrebbe essere quello di offrire opportunità del genere, siamo estremamente fortunati a poterci occupare dei linguaggi espressivi della nostra generazione e vorrei farlo al massimo degli sforzi perché ne sento l’esigenza».