Da Basel a Venezia. Chi ci piace..

Basilea

Come ogni inizio d’estate che si rispetti, Art Basel approda nella sua città d’origine, attraendo l’attenzione di critici, galleristi, artisti, curatori. Non appena la kermesse sarà conclusa, il mondo dell’arte tornerà a puntare gli occhi su Venezia e alla Biennale d’Arte May You Live In Interesting Times. Molti degli artisti in mostra ora in laguna, alcuni stelle nascenti, altri talenti affermati, compariranno nelle programmazioni museali degli anni a venire. Ciononostante, non bisognerà necessariamente aspettare l’inaugurazione di queste mostre in giro per il mondo per scoprirli, perché Art Basel ne propone già alcuni. Di seguito una selezione di queste chicche veneziane, e qualche dritta su dove trovarle alla fiera di Messeplatz, fino al 19 giugno.

Ralph Rugoff ha scelto i nostri tempi interessanti come tema, per cui non c’è da stupirsi se emergono molti pezzi che trattano di politica attuale. Probabilmente a catturare più di tutti questo momento è Arthur Jafa, a Basel con Gavin Brown, il cui lavoro The White Album è uno studio sull’essere bianco e sull’ideologia razzista nonché una luce impietosa su come certe cose siano finite nello spettro della normalità. Più di 50 minuti di video formano un collage di found footage, dove compaiono omicidi di massa come quello di Dylann Roof poco prima che entrasse nella chiesa di Charleston e uccidesse nove fedeli. Parlando ancora di politica ma in altra accezione, Shilpa Gupta, con l’installazione sonora For, in your tongue I cannot fit (2017 –2018), ha raccolto le parole di 100 persone che sono state incarcerate per le loro opere d’arte od opinioni. Al di sotto di ogni microfono che, appeso al muro, pronuncia queste parole in diverse lingue, il testo letto è trafitto da uno spillo in metallo, e le parole diventano pianti che chiedono aiuto. Il lavoro dell’artista indiana è presente ad Art Basel con la Galleria Continua e Chemould Prescott Road.

Altro tema caldo è quello del post-umano. Attraverso l’uso del diorama, ambiente associato ai musei di storia naturale dell’800, la distopia di Dominique Gonzalez-Foerster e Joi Bittle appare come un paesaggio marziano e arso nei Giardini. Cosmorama (2018) è una riflessione su come, in un momento di crisi climatica, l’attenzione si è spostata su Marte come un possibile sfogo abitativo e coloniale. Endodrome (2019) muovendo da questo, trasforma i visitatori della biennale in abitanti di questa terra sconosciuta attraverso la realtà virtuale. on this: Biennale visitors become protagonists in this terra incognita via a virtual-reality environment. Gonzalez-Foerster è a Basel insieme a Esther Schipper. Nonostante l’impiego del trito cliché della città come protagonista del lavoro, Laure Prouvost, visitabile alla carlier gebauer, Lisson e Nathalie Obadia, apporta una ventata fresca al padiglione francese. In Deep See Blue Surrounding You/Vois Ce Bleu Profond Te Fondre (2019), si compie un percorso dalle fondamenta maleodoranti all’atrio imbevuto di polipi, mozziconi di sigarette e tecnologia obsoleta per giungere alla proiezione. Il film, che segue il viaggio da Parigi a Venezia e pieno di deviazioni di un gruppo variopinto di persone, accompagnato da seducenti e ipnotizzanti bisbigli, è una lettura surrealista della favola di Omero, nella quale identità e nazionalità si mescolano.

Infine, sono l’identità e il corpo a essere interrogati e dissezionati. Sempre attivo sulla zona grigia tra identità e cultura, Jimmie Durham, presentato da Barbara Wien e Sprovieri alla fiera svizzera, contribuisce all’Arsenale con un altro tipo di banda: una mandria di bestie scultoree. Ognuna di queste chimere combina un teschio animale con un corpo fatto di materiali vari come stracci, tubi e cavi. Le allusioni ai codici visivi e alle storie che ne derivano variano dallo steampunk, ai totem al memento mori rinascimentale. Una sensazione sotterranea di minaccia traspare dai dipinti dell’artista svizzero-uruguayana Jill Mulleady. I suoi personaggi non sembrano mai essere a loro agio, anche in ambienti domestici. Al contrario, le persone nei suoi lavori si sentono inseguiti, sospettosi verso gli altri, plagiati dall’ansia, mentre l’atmosfera sembra corrotta da spiacevoli intuizioni. Mulleady, proposta da Fitzpatrick a Basel, indaga uno stato mentale che lento ma inesorabile si sta imponendo come status quo.