Art Rewind, Giovanni e la macchina fotografica

Art Rewind è tra gli ultimi progetti di Giovanni De Angelis ed è alla sua seconda edizione, sì perché si tratta di un progetto dalla natura totalmente contemporanea. Un progetto organico: cresce insieme alla storia, e con essa i suoi protagonisti. Come sono fatti i giovani artisti italiani, dove lavorano e soprattutto cosa ci comunica il loro stare al mondo, il loro sguardo. ”Dove ci porta il loro sguardo sul mondo?” Ecco la domanda giusta. E De Angelis sta fermando su pellicola tutti i volti della scena nazionale, sù e giù per il paese. Dai loro occhi alla loro ricerca, perché l’artista vuole farci vedere molto di più di un ritratto. Qualcosa di circolare, qualcosa che si muove sempre: Giovanni sta facendo rewind.

Cosa pensi quando sei davanti alla macchina fotografia, intendo quando hai capito che stai quasi per scattare, l’attimo prima di mettere a fuoco, e ti succede qualcosa. Immagino ci saranno dei momenti in cui è capitato. Raccontami. Quando fotografiamo siamo totalmente concentrati sulla scena, perdiamo quasi la nostra identità attraverso un meccanismo inconscio, e lo dico perché è capitato spesso anche a me… Sto pensando ai ”segni”, ti è mai capitato che qualcosa ti sorprendesse e che ti facesse andare avanti inconsapevolmente?

 La fotografia è per me una rappresentazione quasi concettuale dell’attimo che verrà. È il risultato della visione mentale del fotografo oltre che della realtà oggettiva. Mio padre, scomparso ormai da circa tre anni, mi ha insegnato un proverbio napoletano che ho fatto mio e ho calato perfettamente nel lavoro fotografico – ”e a verè a foglia e s’mover, primma che arriva o viénto” – che tradotto significa che un bravo fotografo deve vedere la foglia muoversi un attimo prima che arrivi il vento e la faccia muovere. Devi quindi intuire quello che avverrà per poter realizzare la fotografia che hai in mente e che immagini appunto come risultato finale dopo quel fatidico scatto. L’attimo perfetto, non un istante prima, non un istante dopo. Io opero così e nessuno mi ha insegnato a trovare quell’istante esatto ma ce l’ho dentro e lo sento ogni volta che guardo la scena e scatto. La fotografia che mi appassiona è quella in cui io sento lo spazio e il soggetto e riesco a leggere la scena e la persona se si tratta di un ritratto. Sì, talvolta dei segni particolari mi danno la chiave di lettura ma quasi sempre è un intuito, forte, istantaneo che percepisco immediatamente. Già il secondo scatto non è quello che percepivo nel primo e che generalmente è il migliore tra i due. La mia fotografia legata ai luoghi è molto diversa dal ritratto. In quest’ultimo ho bisogno di sentire l’altro, il soggetto da ritrarre, che osservo alla ricerca del suo fare personale. Ritengo infatti che il ritratto fotografico è spietato perché permette di enfatizzare, o comunque mettere a nudo, quelle parti veramente uniche della personalità di un uomo e talvolta queste unicità sconcertano sia l’occhio dell’osservatore sia l’occhio del soggetto fotografato. Cerco di raccontare attraverso il ritratto quello che ho percepito in quel momento ma con l’idea di raccontare la persona e talvolta il suo operato.

Penso ad Art Rewind come ad un grande racconto di cui sei il regista. Come ti è venuto in mente di ritrarre altri artisti? Chi è stato il primo e perché? Un pomeriggio dell’anno scorso mi hai chiesto di accompagnarti per assistere ad uno dei tuoi ritratti e hai scattato le foto molto velocemente. In genere decidi di ritrarre artisti che conosci e con i quali hai molta confidenza o ti lanci anche con artisti che non hai mai incontrato? Te lo chiedo proprio perché ricordo quella sessione e mi sembrava che avessi chiaro in mente cosa volessi fare, cosa volessi ottenere, cosa volessi far vedere. E l’aspetto più affascinante è che ”ci fai vedere attraverso il doppio”: per te un metodo ormai. Parlami anche di questa metodologia.

E, come immagini, sto pensando a Water Drops…

 Art Rewind è un progetto fotografico che nasce dall’idea proprio di rivalutare l’arte (art) contemporanea, ricominciando (rewind) proprio dagli artisti.
Ne parlai all’epoca con la mia amica Clara Tosi Pamphili e inizialmente volevamo incontrare gli artisti e realizzare da un lato un ritratto fotografico e dall’altro un’intervista per raccontare il lavoro. Il primo artista a cui chiesi di partecipare fu Davide Dormino che, proprio insieme a Clara, andammo a trovare all’ Accademia RUFA in un tardo pomeriggio in cui lui stava lavorando a dei grandi disegni. Capii subito che ritrarre un artista mentre lavora richiede empatia con l’uomo e con la sua opera. Iniziare quindi dagli amici mi ha di sicuro aiutato, oggi ho imparato a sentire questa empatia, questa energia, percependo le vibrazioni dell’opera che realizza l’uomo-artista, inserendo nel ritratto fotografico o la materia o l’idea della rappresentazione dell’opera ove l’artista è un artista concettuale. La difficoltà nel ritrarre gli artisti contemporanei (di età massima 50 anni circa) è proprio la rappresentazione del personaggio quando il suo operato è concettuale. La mia visione è sempre legata al concetto del doppio che si ripropone ossessivo anche nella forma quadrata della stampa finale, come nel ritratto dell’artista che realizzo quasi sempre con due scatti o con un unico scatto se nella composizione è già presente l’idea del doppio. Water Drops a cui tu pensi, è stato il mio primo importante progetto legato ”al doppio” – attraverso i ritratti degli straordinari gemelli di Candido Godoi, una piccola e misteriosa città nel sud del Brasile – un progetto che è stato esposto all’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo e al MACRO di Roma grazie al sostegno di Ines Musumeci Greco. Ma questa è un’altra storia…

 

 

Tutte le immagini che ancora non hai scattato e che vorresti scattare, fammi immaginare queste. Fammi arrivare dietro alla tua linea rossa. L’ho sempre vista come un taglio: un taglio che ”apre a”; come fa una rottura, una ferita – ed in un certo senso la linea rossa è anche un po’ questo per me. Così netta e chiara nella sua cromia s’impone sull’immagine, come a danneggiarla anche, come se fosse un errore di stampa. In tutti i casi, s’impone, cattura e apre. Ecco, cosa c’è dietro la tua linea rossa che non hai ancora fotografato?

La mia linea rossa è come una quinta teatrale, è un orizzonte, un gate di attraversamento e passaggio ad un’altra dimensione spazio temporale in cui quella fotografia ove è presente la linea è riprodotta infinite volte. La linea è sempre disposta nell’immagine su uno dei lati e ha un senso con la composizione. È forte e talvolta disturba. È quello che voglio, è quello che vedo io. La linea la realizzo personalmente sull’immagine stampata. È in acrilico ed è materica nella percezione visiva finale dell’opera. Rende l’opera unica al di là della tiratura dell’opera fotografica comunque ristampabile. Per i puristi della fotografia è quasi una profanazione il mio tracciare la linea rossa sulla carta stampata ma, in fondo, occorre osare.

 

I tuoi scatti e il bianco e nero. Forse perché l’assenza di altri colori non dà un’esatta connotazione temporale alle immagini e le rende in qualche modo eterne…

Non ti so dire esattamente ma di certo io non vedo il colore nella fotografia che deve attraversare il tempo. L’immagine è per me in bianco e nero come i miei sogni ma l’innesto per accedere è la linea rossa, come l’infrarosso per la rilevazione della fonte luminosa nel buio della notte.

 

 

Tu. Giovanni dietro la macchina fotografia e Giovanni davanti alla macchina fotografica. Prova a fare un auto-rewind e dimmi cosa esce fuori.

Forse esce la mia immagine come divisa in due come nel mio ritratto.

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