Kusama Infinity

È l’universo, illimitato, che Yayoi Kusama traduce in superfici dense di puntini e di reti sconfinate, in sculture morbide colme di protuberanze imbottite, in stanze ricoperte di specchi. E questo universo, macroscopico e microscopico, ”pieno del nulla, in continua espansione e autodistruzione” in cui ”come una goccia che cade nell’acqua sparisco completamente”, attraverso la reiterazione ossessiva, l’accumulazione e la moltiplicazione, in Kusama si fa infinito. Infinity è infatti il titolo del documentario diretto dalla regista Heather Lenz che, attraverso testimonianze, interviste e documenti d’archivio, racconta la vita e l’opera dell’artista giapponese. Lenz, con sguardo incantato, tesse una trama in cui la storia personale e quella professionale si intrecciano: dalle esperienze di bambina in una Matsumoto rurale e conservatrice, quando già all’età di dieci anni desidera fare la pittrice, giunge, attraverso spezzoni inediti, interviste, una cronologia di esposizioni ed eventi, il lavoro a New York e il ritorno in Giappone, alla celebrità planetaria di oggi. È dall’esigenza di «condividere la storia di Kusama con un pubblico più ampio – ha dichiarato Lenz  – di far conoscere anche il lato oscuro della sua storia personale» che Infinity trova la sua ragion d’essere, così da poter «aiutare a trasmettere al pubblico quella parte della sua vita e della sua persona onde evitare che venga dimenticata. Volevo che chiunque sapesse che quella di Kusama è la storia di una pioniera che ha dovuto superare il sessismo, il razzismo e la malattia mentale per perseguire il sogno di essere un’artista». Un tributo, un gesto d’amore perché l’opera di Kusama sia divulgata, conosciuta e ricordata. 

Le parole di curatori, critici, artisti, direttori di musei, galleristi, collezionisti, amici, collaboratori e della stessa Kusama si combinano e integrano alle immagini delle sue creazioni vitali e luminose, come i grandi quadri (per esempio gli Infinity Net Painting), le sculture (dagli oggetti d’uso quotidiano su cui applica un’enorme quantità di protuberanze falliche dei primi anni ’60, le ”penis chairs”, fino ad arrivare alle forme biomorfiche ricoperte di pois) e gli ambienti (come le famosissime Infinity Mirror Room), e alla narrazione di happening, performance e invenzioni sorprendenti che anticipano importanti trasformazioni nel linguaggio stesso dell’arte, nelle sue forme e possibilità espressive. Interessante per esempio il ricordo dell’evento alla Biennale di Venezia nel 1966, realizzato senza invito, il Narcissus Garden, un giardino di sfere specchianti vendute dalla stessa Kusama: una forma d’arte già partecipativa e relazionale in cui ”l’arte viene venduta come gelato”.

Sono il mancato riconoscimento e il disagio personale a emergere come il motore di tutta la sua ricerca. Infinity setaccia infatti l’esistenza privata di Kusama, le difficoltà, la malattia, gli incontri, le reazioni alla sua arte; vita e opere sono così legate a doppio filo, in una dimensione narrativa nella quale più di ogni altro aspetto è la sua identità di artista e donna giapponese a essere celebrata. In conclusione Infinity, esito di quasi un decennio di ricerche, evoca il riscatto e la fama come ultimi tasselli di un lungo e travagliato percorso di affermazione di sé. Oggi infatti l’opera di Kusama è apprezzata e riconosciuta nei musei di tutto il mondo; quei puntini e quelle reti, che da sempre la ”affascinano e tormentano”, che si ispirano a visioni e allucinazioni, e a lungo rifiutati, sono oggetto di straordinaria ammirazione. E Kusama, a quasi novant’anni, lavora ancora ogni giorno, dirigendo tutte le sue energie nell’arte.

Distribuito da Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema, sarà nelle sale italiane dal 4 marzo. Info: wantedcinema.eu

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