La pratica artistica come strumento di indagine delle relazioni tra lavoro, stato sociale e condizione umana
”Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza[…] È la prima, fondamentale condizione di tutta la vita umana; e lo è invero a tal punto, che noi possiamo dire in un certo senso: il lavoro ha creato lo stesso uomo”, scriveva Friedrich Engels nel 1876, mentre molto dopo Zygmunt Bauman lo registrava come strumento principale della modernità nel processo di (ri)costruzione dell’identità sociale. È questa condizione totalizzante del lavoro che ha prodotto effetti apparentemente irreversibili sulla vita umana, a rappresentare il campo d’azione della ricerca di Antonio Della Guardia. In particolare, l’artista salernitano, mira rendere manifesti l’influenza di schemi lavorativi imposti e le modificazioni della personalità dell’uomo/lavoratore che ne derivano. Della Guardia attraverso una pratica diversificata, tra l’intervento minimo e l’installazione composita, costruisce la sua indagine analitica che nei lavori più recenti fa i conti con il ruolo sempre più decisivo della scrittura nelle dinamiche aziendali.
Alfabeto del potere è l’opera finalista del Talent Prize 2018: un’installazione estrapolata dalla Luce dell’inchiostro ottenebra, la mostra allestita nella galleria Tiziana Di Caro a Napoli conclusasi il 17 novembre. Partiamo dal titolo.
«Il titolo varia la frase “La luce del potere ottenebra” presente nel Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni del 1967 scritto da Raoul Vaneigem, giornalista belga legato all’Internazionale situazionista. Un testo molto importante per me, lo continuo sistematicamente a leggere e consultare. L’idea di sostituire la parola potere con inchiostro sta a indicare come dietro l’aspetto estetico della scrittura si possa nascondere l’inquietudine della superiorità. Nell’Alfabeto del potere ogni lettera è stata estratta da una firma, o dal nome o dal cognome, dei più influenti politici mondiali. Una ricerca durata tre mesi che ho condotto grazie all’aiuto di una grafologa napoletana».
Questo studio grafologico che risultati ha portato?
«L’unica cosa reperibile dei politici è la firma, anche perché non è possibile leggere documenti scritti a mano fino a 70 anni dalla loro morte. Il gesto grafico è il risultato di attività neuronali da cui derivano i comportamenti, le lettere prese in considerazione, valutate attraverso il metodo grafologico morettiano, rivelano degli inquietanti temperamenti che non combaciano con l’immagine pubblica dei leader esaminati. Istinti che si legano alla mania del comando e dell’oppressione. Lavorando sul duplice aspetto, la realtà e la sua parte nascosta, mi intrigava l’idea di mettere in luce, nel senso più materiale del termine, i lineamenti del potere».
La mostra Luce dell’inchiostro ottenebra aveva una struttura sequenziale e nella seconda stanza affrontava un aspetto che hai definito: La forma del potere. In che modo hai tradotto in opera il concetto di scrittura come forma di potere?
«Tempo fa due miei amici hanno avuto un colloquio di lavoro per entrare in un’azienda. Pur avendo la stessa formazione e lo stesso curriculum, uno è stato assunto, l’altro no. La scelta è stata fatta sulla base di analisi grafologiche, per cui la scrittura di uno dei due è risultata conforme rispetto ai parametri ricercati dall’azienda. In seguito a questa circostanza, ho chiesto loro di iniziare un processo di rimodulazione della propria scrittura, mediante l’assimilazione dei grafemi dell’alfabeto del potere. Un lavoro di esercitazione durato sei mesi il cui risultato finale è confluito in Esercitazioni di scrittura per un prossimo reale, un video in cui vengono trascritti alcuni versi della Divina Commedia, e una grande installazione a parete composta da 285 fogli: Untitled. Una composizione interrotta in tre punti da altrettanti grafici, dove le ascisse e le ordinate indicano l’equilibrio perfetto delle tre aree attitudinali (tecnico-teorica, relazionale-pratica e espressivo creativa) presenti nel profilo del dirigente ideale. L’origine di tale mantra si articola sulla base del Kit manageriale, uno scritto ineludibile fatto di abilità, atteggiamenti e attitudini che una determinata responsabilità direzionale dovrebbe possedere tra le trame della propria grafia».
La firma come atto ufficiale di affermazione di una superiorità e la penna come strumento attraverso il quale questa superiorità si concretizza diventano gli espedienti mediante i quali ci racconti questo sistema di potere.
«Esatto. La terza stanza affrontava quella che possiamo definire: L’applicazione del potere. Una sequenza di quattro fotografie di altrettanti manager che impugnano la propria penna, personalizzata dall’incisione o dalla stampa di un animale nel quale si identificano. La serie, intitolata Jungle, fa riferimento al romanzo di fantascienza Condominio di J. G. Ballard e a quell’idea di aspra competizione che riporta l’uomo allo stadio primitivo, animalesco».
Come si concludeva la mostra?
«L’ultimo passaggio della mostra analizzava il Potere supremo attraverso la rappresentazione di una poltrona da manager trasformata in una sedia a dondolo posizionata di spalle rispetto al visitatore. Nell’immaginario collettivo, anche grazie al cinema, infatti, il vertice della piramide spesso resta segreto. L’idea del lavoro è il tentativo di snaturare del tutto questa presenza oscura, umanizzandola e rendendola comune. Non è casuale, inoltre, la scelta della stanza: è infatti lo studio della gallerista normalmente chiuso al pubblico».
Alfabeto del potere
Si tratta di una scritta al neon composta da 26 grafemi diversi tra loro, ognuno dei quali appartenente alla firma di un politico. Le lettere dell’Alfabeto del potere sono difficili da decodificare, ma restituiscono secondo i dettami della grafologia gli aspetti reconditi di chi è designato a governare il mondo. La “t”, per esempio, è considerata dai grafologi una lettera perfetta perché mostra la congiunzione tra la scala verticale e quella orizzontale: tra individualità e propensione a relazionarsi col prossimo; nell’Alfabeto del potere non presenta zone di contatto tra le due scale. Per la grafologia così non risulta esserci interesse a connettere il sé con la collettività. Questo indica l’alto grado di concentrazione finalizzato esclusivamente a un movimento di autorealizzazione verso l’alto, verso il successo.
1990
Nasce a Salerno il 28 novembre
2016
Espone in Corso aperto, a cura di Lorenzo Benedetti nella fondazione Antonio Ratti, Como
2017
Partecipa alla collettiva Sensibile comune, le opere vive, a cura di Ilaria Bussoni, Nicolas Martino e Cesare Pietroiusti nella Galleria Nazionale, Roma
2017
È nel Centro Cultural Chacao di Caracas con Disio, nostalgia del futuro, a cura di Antonello Tolve
2018
Sua la personale La luce dell’inchiostro ottenebra nella Galleria Tiziana Di Caro, Napoli