Risultato di calcoli

Non avete mai sfogliato il nostro cartaceo? Per farvi recuperare abbiamo selezionato un pezzo dal numero #110 L’articolo è parte del focus dedicato ai rapporti fra arte e suono. Qui un altro intervento della sezione.

Artisti, designer e architetti ricorrono oggi agli stessi strumenti d’ideazione e creazione digitale. Uno sfondo comune che condividono anche con gli scienziati, fatto di programmi di simulazione, linguaggi di programmazione e macchine a comando digitale. Il mondo digitale ha fatto la sua apparizione nell’ambito delle nanotecnologie, dell’architettura e dell’arte, come dimostra l’esposizione Mutations/Créations allestita di recente al Centre Pompidou. Una nuova forma di complessità è nata formalmente, materialmente e tecnicamente. I programmi di simulazione digitale presentano uno spazio tridimensionale nel seno della progettazione generativa che ha sbloccato un nuovo immaginario nel quale le forme sono il risultato di calcoli.

Le tecnologie digitali si trovano a un punto d’incontro fra innovazione e creazione e sollevano il problema dell’autore oggi implicato nei nuovi modelli di ideazione e produzione. Gli architetti sono stati i primi, a partire dal 1990, a usare tecnologie digitali attraverso software di progettazione parametrica, come testimoniano Frank Gehry e Zaha Hadid. Se certo sono stati dei pionieri in materia, il loro lavoro è stato presto ostacolato da problemi di scala. La posta in gioco oggi è realizzare strutture archittettoniche complesse con la stampa 3D in cemento e senza struttura, come per esempio Gramazio Kohler ed EZCT /XTreeE; o ancora in materiali compositi fondendo architettura popolare e digitale come i lavori di Jenny Sabin. Il digitale ha portato un cambio di paradigma attraverso la realizzazione di oggetti unici prodotti industrialmente, aprendosi a una variabilità dell’oggetto come a una produzione non standard. Il rendering ha sostituito il prototipo. Non ci sono più matrici, niente più serialità ma un principio di produzione variabile all’interno di una catena seriale di progettazione e produzione. Svaniscono i confini nel passaggio dal virtuale al reale ma rimane un impiego di processi digitali e fisici messi a disposizione da una molteplicità d’attori che intervengono in momenti differenti secondo le loro competenze.

Nel campo del design, l’appropriazione di tecnologie digitali è più recente. I designer sono oramai capaci di intervenire nella progettazione e nello sviluppo dei programmi, Olivier van Herpt e Dirk van der Kooij ne sono un esempio. L’intervento del designer coinvolge tutta la catena di produzione, dalla scelta degli strumenti di modellazione digitale alle modalità di realizzazione. Uno dei protagonisti di questa appropriazione digitale nel campo del design è Joris Laarman con la sua MX3D nella quale collaborano artigiani e ingenieri per la realizzazione di oggetti come il ponte che sarà stampato in mettallo da dei robot a Amsterdam nel 2017. Il designer Matthias Bengtsson ha invece realizzato il primo tavolo additivo in titanio, Growth Titanium Table, a partire da strumenti di simulazione digitale, ispirandosi a principi di crescita delle strutture ossee. Le stampe 3D multi materiale permettono ai designer di sperimentare una nuova materialità digitale, proprio grazie a queste tecnologie.

Lo stato dell’autore è messo in discussione dalle tecnologie digitali. Le sedie Makers (Bits & Parts) di Joris Laarman presentano un design partecipativo. Ogni sedia è un puzzle, gli utilizzatori possono assemblare le varie parti attraverso un ventaglio di materiali e colori differenti che trovano su delle piattaforme open source. L’obiettivo è democratizare la produzione attraverso un percorso di co-design per arrivare a una nuova economia creativa. Il critico David-Olivier Lartigaud si richiama a questo proposito al concetto di bricolage intendendo la programmazione come un mezzo per riprendere un controllo sugli oggetti. I nuovi prodotti digitali sarebbero quindi ”oggetti tecnici aperti” per riportare la formula del filosofo Gilbert Simondon : aperti e open source, sottomessi a un processo costante di miglioramento e adattamento.

Gli artisti, invece, esprimono un approccio critico delle tecnologie emergenti e indagano lo stato dell’immagine nell’eradigitale. Achraf Touloub recupera delle fotografie su Internet: stanze in affitto, immagini prese sul canale Al Jazeraa, etc, poi le disegna a mano prima di strampare in 3D, così facenso indaga la smaterializzazione delle immagini e del loro moltiplicarsi. Jon Rafman ha realizzato una serie di busti con la stampa 3D intitolati New Age Demanded. Contemporaneamente astratti e figurativi, questi lavori riecheggiano la storia della scultura richiamandosi anche all’iper-tecnologico. L’artista Matthew Plummer-Fernandez analizza il diritto d’autore attraverso, tra gli altri, l’app Disarming Corruptor che punta a sfuggire la sorveglianza elettronica. Stranger Visions dell’artista Heather Dewey-Hagborg è una serie di volti stampati in 3D a partire da materiali genetici come mozziconi di sigaretta e capelli, raccolti in spazi pubblici. Quest’artista newyorkese lavora sui pericoli della sorveglianza biologica degli individui e più in generale, le questioni che solleverà il deep learning in un futuro prossimo. Queste tecnologie dirompenti si aprono nel campo della creazione a nuovi orizzonti che si estendono dalle nano alle biotecnologie, fino alla programmazione della materia stessa attraverso il neuro design o l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi d’ideazione.

Info: www.centrepompidou.fr