Cosa succede se un’opera d’arte non si può più esperire come è stata pensata dall’artista? Facile, si restaura. E se il lavoro in questione fosse un’opera di net-art? Stessa cosa. Ma dove intervenire, cosa si è rovinato? Sono le domande che hanno dovuto affrontare i restauratori del Guggenheim di fronte a un lavoro online, appartenente alla collezione del museo, che non era più navigabile. L’opera, Brandon, è firmata Shu Lea Cheang ed è stata realizzata nel 1999 e rappresenta la prima commissione dello spazio statunitense per un lavoro di Net art. Sfortunatamente, o meno, la tecnologia da allora è cambiata e ha reso impossibile visionare il progetto. I restauratori allora, in collaborazione con il New York University’s Department of Computer Science, hanno dovuto mettere mano alle 65 mila linee di codice e alle 82 pagine di pop-up e finestre per far rifunzionare il sito. Nessun codice, però, è stato rimosso durante l’operazione ma sono stati solo aggiornati gli strumenti come JavaScript e Gif.
Brandon è diventato quindi un caso di studio ideale in quanto a restauri di opere online in quanto ha permesso di immergersi in questioni legate all’informatica, all’etica, alle pratiche di conservazione, alla storia dell’arte e quella del museo come dice Joanna Phillips, restauratrice al Guggenheim, su Hyperallergic. Per approfondire meglio le varie operazioni del restauro Artnet riporta le manovre svolte durante l’azione.