Tre mostre a Operativa

Roma

Chi è riuscito a visitare la mostra di Enrico Boccioletti, Daisyword, alla galleria Operativa arte contemporanea, lo spazio nel cuore di Roma diretto dal giovane Carlo Pratis, avrà trovato un luogo snaturato nello spazio e nel tempo. Soprattutto nello spazio per via di una nube di ghiaccio secco che accoglieva e confondeva il visitatore. Una nebbia sfumava i contorni di oggetti e persone che si ritrovavano a condividere un ambiente alieno mentre un mazzo di margherite, luci stroboscopiche e cubi di ghiaccio, senza nessun apparente rapporto fra loro, trovavano una ragione d’essere in base all’interpretazione dello spettatore, che di volta in volta costruiva legami fra gli oggetti nel tentativo di giustificare il caos. Non è certo un caso se lo stesso Boccioletti, nell’introdurre la sua mostra, descrive il visitatore come user proponendogli una parte attiva e necessaria nel sistema, un sistema aperto che definisce un ambiente come un device performativo.

La mostra, curata da Alessandro Dandini de Sylva, è stata l’ultima di un ciclo di tre esposizioni raccolte sotto il nome Due o tre cose che piacciono a me, percorsi accomunati dalla scelta di artisti presentati nella stessa galleria Operativa arte contemporanea. Ad aprire il ciclo era stato Emiliano Maggi con Dance Royale curata da Giuseppe Garrera, seguito da Matteo Nasini con Resort mirage curata da Ilaria Gianni e, a chiudere il cerchio, Daisyword di Boccioletti. Lontano dall’essere l’ultima mostra della serie, Daisyword è la chiave per capire l’intero ciclo, è dove dove tutto sembra farsi più chiaro. Se infatti a prima vista le tre mostre non hanno nulla a che fare fra loro, se pensate come le margherite di Boccioletti, rivelano similitudini nascoste. Anzitutto nello spazio.

Buia come una sala cinematografica, la galleria accoglieva il video di Maggi. Nel nero che cancellava gli ambienti la sola proiezione illuminava in controluce una statuetta al centro della sala posta davanti al cortometraggio. La musica di quella danza riempiva e spiazzava il visitatore nell’oscurità. Musica, invece, appena suggerita per la mostra Nasini che ha installato un enorme organo eolico di legno nel primo ambiente. Attraverso un ventilatore e un sistema d’amplificazione ha regalato un assaggio del suono che lo strumento avrebbe potuto creare in un ambiente aperto e ventoso. Se quello di Maggi era uno spazio buio e misterioso che ricalcava l’atmosfera allucinata del video, quello di Nasini era luminoso ed evocativo, un miraggio, come appunto il titolo della mostra suggeriva. Boccioletti costruisce invece un’area asettica, algida, insistendo nell’uso del ghiaccio secco e della luce a dominate fredda, un’area mai data una volta per tutte ma alterata nelle dimensioni e nel tempo per via della stroboscopica.

Le mostre, insomma, sembrano tre tentativi di presentare altrettante visioni di uno stesso spazio. L’installazione si conferma la tecnica più usata per esprimere un concetto e richiedere da parte dello spettatore un coinvolgimento emotivo sempre più difficile da ottenere con dei quadri attaccati al muro. Più che criticare il white cube, che a quanto pare sta invecchiando benissimo, le tre mostre sembrano giocare con gli ambienti allontanando ogni tentativo di distruzione degli stessi.

Info: www.operativa-arte.com

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