L’alfabeto di Opiemme, all’anagrafe Davide Bonatti, è una fitta sequenza di segni, gesti, attitudini che uniscono la poesia in una visione pittorica cosmica. Definire Street art i suoi interventi in giro per il mondo è fuorviante, perché Opiemme sonda un immaginario mai univoco, frutto di molteplici esperienze e di uno stile in continua evoluzione. Attualmente l’artista è a Torino, dove vive e lavora. Il suo è un corpus grafico mai fine a se stesso che parla di letteratura, parole, poesie e, in ultimo dell’universo.
Il tuo ultimo progetto espositivo Vortex rappresenta l’esegesi della celebrazione di un mistero, l’infinità dell’universo, a cui sei giunto grazie anche agli scritti del genetista Giuseppe Sermonti. Come hai collegato testi scientifici al tuo lavoro? «È stata la serendipità a fare i collegamenti. Nel 2013 mi hanno suggerito un libro: L’alfabeto scende dalle stelle. È rimasto nei miei pensieri e l’ho idealizzato: la scrittura che veniva infusa dalle stelle, un’unità galattica fra le cose che andava al di là della terra. Anche nel caso del mio grande Vortex dipinto a Danzica sulle parole ”Sotto a una piccola stella” della Wislawa Szymborska, si è trattato di fatalità. Negli stessi giorni inaugurava una mostra dedicata alla poetessa polacca e la fondazione Szymborska di Cracovia volle riconoscere il muro. Non avevo ancora deciso di concentrare la mia ricerca su Vortex. Al ritorno in Italia sono stato contattato da Sermonti, autore del libro. Non è la scienza ad accomunarci, bensì l’attrazione verso il nero. È una gravità, che sta in testa e fa sognare. Usando le parole di Sermonti cerco ”di riscrivere una teoria astronomica lessicale che traduce costellazioni in alfabeti”. Trovo che Sermonti sia un sognatore, sebbene le sue teorie suonino sensate alla comunità astronomica. Descrive gli astri che irradiano lettere come ”un’immagine delicata di un alfabeto che cade direttamente dal cielo, come sublime polvere di stelle”».
Afferma Guillaume Apollinaire: ”Per me un calligramma è un insieme di segno, disegno e pensiero”. Come definiresti il tuo procedimento in cui parola e segno divengono un insieme? «È come se vi fossero tre livelli di lettura: l’immagine, la parola e il pensiero che ne deriva. Il processo però non è consequenziale. Serve la giusta miscela perché possa funzionare negli occhi, nel cuore e nella mente delle persone. Le poesie da sole rimangono in silenzio. Le emozioni e le storie di chi legge le completano. In Vortex parole e segno non sono un insieme imprescindibile, le lettere divengono altro e le parole si destrutturano. Sono frammenti di astri. Irradiazioni. Un derivato simbolico. Movimento e non-racconto. Oggi non so dare una definizione, sono alla ricerca di consapevolezza».
Qual è la tua personale visione dell’arte pubblica che caratterizza parte del tuo lavoro? «È lavorare con la storia, i ricordi, il futuro di un luogo attraverso le parole di un poeta. È organizzare performance partecipative che interagiscano col tessuto sociale. È disegnare a parole un’icona poetica e lasciarla in una strada come fosse una pubblicità, che al suo interno contiene un pensiero. Mi piace arrivare in un luogo, soprattutto nei piccoli paesini e scoprire aneddoti dalle voci dei cittadini, sentire cosa sentono. Farmi trasmettere i loro ricordi. Trovare un poeta, poi un passo e iniziare un lavoro che si cuce sul luogo. Il mio lavoro inizia con la scrittura e, ispirato da land e public art, passa in strada, lì trova un modus operandi: agire con liberi interventi, non autorizzati, spontanei. Agli inizi del duemila la street art mi ha insegnato a prendermi la libertà di lasciare un segno. L’intento è sempre uno: trasmettere poesia. Gli interventi liberi sono stati un mezzo. E saranno sempre una risorsa. Potremmo aprire un piccolo dibattito sull’utilizzo dei termini street art e muralismo, ma preferirei non immolarmi sotto a un mulino a vento fatto di social. Le parole perdono significato. E non ci si cura di loro».
Che cosa vorresti tramandare attraverso la tua arte? «Sarebbe bello se bastasse un mio intervento per far rivivere testi. Moravia disse ”di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono solo 3 o 4 in un secolo”. Quando ho iniziato il progetto Un viaggio di pittura e poesia credevo fosse destinato a un tempo dato. Oggi invece vedo crescere un percorso di poesia fatto di strade e campagne».