Antitesi della contemporaneità, di un tempo che freneticamente scorre, scivola e non presta attenzione ai dettagli, alla minuziosa ricerca di ogni elemento circostante. Chiocciole in transumanza, silicee presenze che lentamente raggiungono un luogo tanto agognato: la dimensione del ricordo, lo spazio abitabile della memoria. ”Quello che non riuscirò mai a prevedere, ad evitare, a sostituire – scrive Vincenzo Cardarelli – è l’intervento del tempo, l’opera di questa forza incognita che ci rapisce quando meno ce l’aspettiamo, ci dismemora dei nostri propositi più fermi, e rende suscettibili di mutamento le consuetudini più inveterate. La sola maniera di difendersi dal tempo è quella di andargli incontro, di percorrerlo”.
Un viaggio immobile, scavato nella sabbia, in quella sostanza sedimentaria clastica che diviene allo stesso tempo materia fragile da plasmare, caratterizzata da una caducità che riconosciamo sin dall’infanzia, da giorni segnati nella volontà ambiziosa di rendere eterni gli edifici sabbiosi costruiti durante un tempo ludico e leggero. Francesco Petrone porta con sé, nella sua materia scolpita, il percorso di un’esistenza sviluppatasi vicino bacini marittimi dove la sedimentazione silicea diviene il primo approccio nella creazione di forme plastiche dedite a una traduzione visiva di sentimenti forti ed elementari.
La sabbia rappresenta una misura del tempo, la materia granulare segna, come fosse in una clessidra, il rintocco dei minuti che velocemente sfiorano le pareti dell’ampolla vitrea, ogni granello contiene in sé il mistero di un ricordo, diaframma effimero di ore consumate nel segmento temporale di un incontro, di una perdita, di un ritrovamento. Questa simbologia specifica che segna il lavoro di Francesco Petrone, verifica il presente nell’assunto di un tempo mai perduto: ”la memoria olfattiva, uditiva, sensorialmente parcellizzata, coglie i fatti, ma li scompone in brandelli atomizzati, in realtà fisiologiche autosufficienti – sostiene Catalano – e incapaci di sintesi se non nel tempo mitico che li ricompone in favolosa unità pre – storica: essa è presentificazione atemporale, deposito salvifico di contenuti e tradizione”.
Petrone all’interno di questo deposito salvifico, composto da materia silicea, imprime il suo gesto scultoreo nella plasticità delle chiocciole che segnano un cammino meta temporale, quei granelli di sabbia che possono inceppare un ingranaggio meccanico arrestano il lento percorso, immortalano la memoria per renderla visibile in eterno, per interrompere lo scorrimento delle ore e lasciare che quella inaspettata immobilità possa scaturire il raggiungimento profondo delle cose, il loro splendore nascosto dall’inesorabilità di un presente mai guadagnato.
«L’insieme del tempo – afferma Carlo Menghi – è la somma dei giorni. Essa, tuttavia, a ben guardare, è continuità estesa di serialità contigue. La memoria ha luogo nel tempo e ne ripete la struttura. Non l’orologio, ma la memoria segna il tempo. Così, l’orologio naturale è il quadrante dove si segnano e si ripetono le differenze di memoria, dove ogni secondo è il concatenarsi variabile di desiderio – formalizzazione – memoria – ripetizione, cioè di ritualità ripetute». La memoria, dunque, agisce come estensione del tempo, in un sistema artificiale di tessuti cronologici scanditi dalla concezione tassonomica dei ricordi, in questo processo strutturale Petrone codifica una ritualità reiterata attraverso un’edificazione immaginifica di matrice plastico – scultorea che connette l’osservatore all’interno di uno spazio indefinito, ma dove viene sedimentata la potenza mnemonica di un’attesa, in quell’impossibilità di fermare il tempo che rende autentico il ricordo, non più vittima di uno sconosciuto oblio.
Francesco Petrone nasce a Foggia nel 1978, da alcuni anni vive e lavora a Roma. Nel 2002 si laurea con lode presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia. Dal 2003 al 2007 lavora come scenografo per il teatro e per il cinema, dal 2007 è docente di Scuola Secondaria. Scenografo, scultore e pittore, lavora con ironia e sarcasmo sul rapporto tra società e cultura pop, costruendo un immaginario fatto di controsensi, provocazioni, citazioni e giochi di senso. Una continua ricerca artistica che lo porta a lavorare con materiali poveri e industriali: cemento armato, gesso, ferro, resine, in contrasto con la natura quasi ludica delle installazioni scultoree. Materiali con i quali “racconta” una visone della cultura occidentale, ed in particolare italiana, anche attraverso la vita stereotipata e dai comportamenti ossessivo/compulsivi degli insetti, costantemente rapportati a quelli umani.
Tra gli interventi e le esposizioni più significative, il Palazzetto dell’Arte di Foggia, il Museo Crocetti di Roma, il MAAM di Roma, Cascina Farsetti – Villa Doria Pamphilj di Roma e la Galleria di Arte Moderna di Perugia.
Fino al 22 maggio, Spazio y, via dei Quintili 144, Roma; info: http://spazioy.com
Fotografie Luca Carlino