Pretty Woman, 25 anni… E non sentirli

Roma

«Stronze lumachine»… una parabola perfetta e quell’escargot finisce nelle mani di un cameriere che, con sguardo sornione e un sorriso stretto tra i denti, ribatte: «succede tutte le volte». Pochi secondi ancora, qualche dialogo nel mentre, ed ecco che arriva una delle scene cult di quel film che non ne vuole saperne di passare di moda. Sulle note di Roy Orbison parte lo shopping sfrenato nella culla dei sogni, in quel Rodeo drive che tutto può e tutto dà.

Pretty Woman festeggia 25 anni e pare più giovane di sempre. Il tempo non passa, o almeno, passa ma quella fortunatissima accoppiata Roberts-Gere continua a fare spallucce. Di successi come questo, audaci e sognanti, terribilmente divertenti e puliti, non si ha memoria lucida e precisa. Se ne sono visti pochi in giro. E ogni volta, come fosse la prima, squadroni di ragazze, donne, persino uomini abbandonano le folli gesta del venerdì sera, si sdraino sul divano, abbassano le luci e alzano il volume perché in tv torna lei, la Vivian di Garry Marshall. Il copione si è ripetuto anche ieri sera, quando Rai Uno ha mandato nuovamente in onda la coppia Roberts-Gere. Ben 4.192.000 persone hanno guardato per l’ennesima volta quel piccolo capolavoro con uno share del 17,07%. Neanche a dirlo, i Social sono stati presi d’assalto, l’hashtag #Prettywoman è rimasto al quinto posto per svariate ore.

E vallo a capire qual è davvero quell’ingrediente che spinge gli squadroni di poco fa – quasi fosse una droga – a non perdere l’occasione di ripercorrere la storia di quella cenerentola in carne e ossa che quasi per sbaglio incontra un principe azzurro mentre cerca un cliente per i sobborghi di Beverly hills. Sarà perché alla voglia di favole – e soprattutto a quelle con un lieto fine – non riusciamo proprio a rinunciare. E non perché siamo solo delle inguaribili romantiche. Ci piace e ci commuove questo film dove tutto è cristallizabile e pulito. C’è l’invidia che però non è squallida, c’è il sentimento che è prima di tutto sincero, c’è l’ambizione che non diventa delinquenza. C’è ancora l’eleganza nei modi, nei gesti e nelle parole. E c’è l’immancabile sogno perché è pur vero che alla fine è andata bene solo a «quella gran culo di Cenerentola», ma sognare costa così poco che provarci non pare mai peccato. «Hollywood è la città dei sogni – recita la voce narrante nell’epilogo del film – alcuni si avverano, altri no ma continuate a sognare». Per questo continuiamo a guardarlo, proprio per la voglia di sognare, di credere possibile che un direttore d’albergo sia più premuroso dei nostri padri, che un miliardario riesca a innamorarsi di una prostituta ma soprattutto che una spilla da balia riesca davvero a tener su il gambale di uno stivale.