Non è facile prendere in mano la vita di Oriana Fallaci e provare a raccontarla in poco più di 100 minuti al grande pubblico degli italiani. Quello generalista, quello che, spaccate le 20.00 accende il televisore per ascoltare il telegiornale e aspetta, poi, comodamente seduto in poltrona, l’arrivo dei pacchi di Flavio Insinna. Ogni storia, soprattutto quelle che pesano, dovrebbe avere un proprio palcoscenico ideale, ma la tv, e soprattutto mamma Rai – da grande nostalgica qual è – deve anche saper riscoprire quel ruolo pedagogico che la rese unica negli anni Sessanta. Sfornare, dunque, almeno una volta l’anno, una fiction che oltre a distrarre e a intrattenere, sappia insegnare e raccontare alcuni personaggi che hanno fatto grande l’Italia. Quando l’Italia era grande davvero e sapeva come farsi invidiare. È stato fatto per Giorgio Ambrosoli, per Adriano Olivetti. Ora si alza il tiro e si punta su L’Oriana, la miniserie in due puntate – l’ultima in onda questa sera alle 21.15 su Rai 1 – che prova a raccontare cosa è stata la Fallaci.
Quella donna minuta, dallo smalto impeccabile, profondamente irriverente e sfacciatamente brillante. Idolo per intere generazioni che guardavano al giornalismo – e purtroppo o per fortuna continuano a farlo – con l’utopia dei romantici. Un’impresa impossibile per alcuni ma bisognava provarci. Ecco allora che a vestire gli abiti della testarda toscana arriva Vittoria Puccini. Sì, proprio lei, l’Elisa di Rivombrosa, la mogliettina tradita da Stefano Accorsi, l’attrice di mucciniana memoria pronta a riscattare una carriera fatta di copertine patinate, sfoderando l’arma dell’impegno professionale. È bella da togliere il fiato. Solo i cretini o gli invidiosi potrebbero negarlo. Con quel volto pulito di bambina che ancora deve scoprire il mondo. Ma questo non basta, il risultato è un disastro. «Se vogliono fare film su di me che li facciano quando sarò morta», diceva l’Oriana, quella vera, quella che non avrebbe mai affidato «a un’altra persona la storia della mia vita». Perché forse già lo immaginava il disastro che ne sarebbe potuto venire fuori.
Prodotta da Rai fiction e dalla Fandango tv di Domenico Procacci, che non sbaglia (quasi) mai un colpo, scritta persino da quei due ”mostri” di Sandro Petraglia e Stefano Rulli, resi immortali con La Meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, la miniserie diretta da Marco Turco è, senza mezzi termini, una catastrofe. Gli ascolti deludenti, con appena il 15,9% di share e 4 milioni di telespettatori incollati alla tv. Una stroncatura in piena regola battezzata dal popolo della rete. L’Oriana è ancora tra i trend topic di giornata ma i cinguettii sono tutto fuorché rosa e fiori. «La Fallaci li avrebbe querelati», «Hanno distrutto un mito». Sono bastate le immagini iniziali per capirlo. Destrutturata e appiattita verso il basso, assolutamente poco credibile sia nel ruolo di donna che in quello di giornalista d’assalto. La Puccini fa sembrare la Fallaci una donnicciola a caccia di qualche avventura. Uno dei suoi grandi amori (piuttosto che fine ha fatto nel racconto Alfredo Pieroni, il primo a catturare il cuore della Fallaci?) François Pelou viene descritto quasi fosse l’infatuazione estiva di qualche adolescente. Se queste sono state le premesse chissà cosa verrà fuori stasera quando, a occupare la scena, sarà l’amore ufficiale che la giornalista provò per Alekos Panagulis, interpretato da Vinicio Marchioni. O ancora il gesto eclatante anti-islamico, previsto a metà serata, quello in cui la Fallaci di fronte all’ayatollah Khomeini si toglie il chador che gli era stato imposto dalla sharìa appena applicata in Iran e comincia a definirlo ”un dittatore”.
Persino la voce, impastata dal toscanaccio e dal fumo, che la Puccini ha cercato disperatamente di acquisire, vestendo gli abiti della Fallaci anziana, sembrava più la performance di un imitatore alle prime armi. Nel mezzo il Vietnam, che la Fallaci vera visse per otto anni, e ancora il Messico e Hollywood fino alle basi della Nasa. Un grande potpourri che nemmeno i migliori azzeccagarbugli. Per chi usa l’accortezza di trattare con rispetto il suo nome e ha a cuore la memoria di una donna che scriveva meglio di Proust, quello della Rai è stato un colpo al cuore che non dà il tempo neanche di accendere il defibrillatore.