A HISTORICAL MASTURBATORS

Eddie Peake è un artista multiforme, un creativo instancabile che attinge sia a materiali di altri tempi che a tecniche innovative, mescolandoli in maniera unica. Il suo lavoro include performance, video, fotografie, sculture, pitture e istallazioni. Inserito da Ed Tang di Christie’s tra gli artisti più promettenti della sua generazione, in residenza alla British School at Rome dal 2008 al 2009, nel 2013 Peake ha conseguito il Master alla Royal Academy di Londra. Nel 2012 Peake ha realizzato una performance alla Tate Modern, Tanks, e nel 2013 ha presentato una delle sue opere più importanti alla Performa Biennial di New York. Approfondendo l’idea nata con Psychosis, una performance-installazione realizzata per Frieze New York 2014, è tornato a Roma per un periodo di ricerca intensiva che ha concluso presentando un nuovo ciclo di opere, The Mask, alla galleria Lorcan O’Neill, confermando il suo interesse per il corpo, l’ambiguità, l’eros e la loro celebrazione gioiosa ed esuberante.

Che tipo di ricerca, qui a Roma, ti ha portato a produrre i lavori presentati alla galleria Lorcan O’Neill?

«È stato un lavoro molto intensivo, sono rimasto letteralmente chiuso nel mio studio al Pigneto, molto concentrato sulle opere. Il 30-40% della mostra è stato prodotto anche a Londra, pertanto ho viaggiato spesso avanti e indietro, ma in termini di particolari correlazioni tra Roma e lo Show, c’è solo il fatto che è stato un periodo molto intensivo di lavoro in studio».

A Historical Masturbators: perché questo titolo?

«Come per la maggior parte delle decisioni che prendo riguardo al mio lavoro, inizialmente tendo a scegliere qualcosa soprattutto perchè mi piace; poi ci penso su o la porto a studio fino a quando non mi è chiaro se mi convinca veramente o no. Allo stesso modo, il mio interesse iniziale nel titolo non era qualcosa di razionale o frutto di un ragionamento, mi piaceva il suono di quella combinazione di parole. Mi piace per molti motivi. È volutamente scorretta dal punto di vista grammaticale, infatti l’effetto è quello di una frase tradotta con google translate. Inizia al singolare e finisce al plurale. Mi piace che sia grammaticalmente goffa perchè sono sempre molto sensibile al linguaggio goffo e che non esprime mai completamente quello che sto cercando di dire o quello che sento finchè non trasformo le mie emozioni (o comunque qualsiasi fenomeno non verbale come immagini, movimenti, spazi etc) in parole. Inoltre, il riferimento alla masturbazione dovrebbe alludere ad una sensazione dolorosa di desiderio non appagato o desiderio di qualcosa, specialmente sessuale, che è inesorabilmente irragiungibile. In questo senso vorrebbe essere anche un riferimento al peso della storia e al modo in cui essa diventa feticcio e oggetto di masturbazione, specialmente in una città come Roma dove è quasi impossibile per chiunque fare qualcosa di nuovo!».

The Labia, la performance che hai presentato, è drammatica e grottesca: una donna nuda in mezzo al pubblico della galleria rivendica urlando la sua identità , mangia, si masturba, disgustata da quello che ha intorno: ti riferisci ad una identità specifica (forse quella dell’artista) o è più una metafora sociale/politica?

«Sì, la performance è molto drammatica e la protagonista recita la versione grottesca di una serie di identità archetipiche. Non mangia veramente, tiene un tramezzino nelle mani e poi alla fine lo scaglia in maniera sprezzante contro il suolo. C’erano riferimenti alla mia psiche e versioni drammatiche del tipico personaggio romano che si può incontrare per strada, di un aristocratico eccentrico inglese, entrambi si rivolgono al pubblico direttamente e passano da un estremo all’altro: da uomo a donna, da tenero a aggressivo, da sessualmente esplicito a puritano, da italiano a inglese. Voglio che il pezzo abbia caratteristiche schizofreniche e psicotiche, quindi in effetti è una maniera piuttosto violenta di giocare con queste due identità, come è il modo della performer di giocare con gli spettatori: l’ultima tematica è protagonista dei miei lavori di performance (considero questo gioco violento di identità in stretta correlazione con le mie opere delle maschere. Le maschere sono una sorta di base a cui si agganciano tutti gli altri lavori della mostra, anche perché sono i lavori che ho realizzato interamente qui negli ultimi sette mesi) Inoltre l’intenzione è quella di essere totalmente sincero e personale, come una confessione che esplode dai livelli più profondi della mia psiche, dei miei desideri, delle mie insicurezze e così via. In nessuna di queste cose molto personali intravedo un focus specifico sulle questioni socio politiche, che per me è un’altra componente del lavoro. Di solito mi piace che la performance abbia la caratteristica di rappresentare una società di cui voglio far parte, che è anche la società di cui voglio far parte, ovvero la Finsbury Park della Londra degli anni ’80, una comunità multietnica fatta di una moltitudine di culture, società e classi. Non è più così adesso, o per lo meno non nelle stesse proporzioni e di sicuro il mondo dell’arte non è così, quindi per me è molto importante che la performance includa questi aspetti contraddittori della società.

In questa mostra, sculture di gesso con organi sessuali sovradimensionati sono accanto a sculture a grandezza naturale con corpi sottili e appiattiti (se vogliamo, l’opposto dell’erotismo) che sorreggono teste di plexiglass. Corpo, voyeurismo, sesso: la tua arte gioca spesso con questi elementi. Cosa ti ha portato a rappresentare principalmente nudi, in maniera così ironica, schietta e provocatoria?

«Hmm, sarei curioso di sapere cosa intendi per opposto di erotico. Io non vedo nessuno dei lavori in questo modo. Tutto il mio lavoro è basato sul sesso, sul desiderio, sulle relazioni e sull’erotismo a vari strati di visibilità. Inoltre i miei lavori non sono ironici, e comunque di sicuro non è questa una tematica del lavoro. Vorrei portare il lavoro lontano da una conversazione sulla sincerità contro l’ironia, invece voglio essere personale e reale il più possibile. Così come il corpo, il sesso, il voyeurismo e così via: tanto per iniziare voglio realizzare un lavoro che sia gioioso e che celebri queste cose in maniera esuberante. Non è affatto un punto di partenza intellettuale. Invece è un punto di partenza istintivo. Perciò diventa una narrazione dell’opera».

Dal 24 gennaio al 4 aprile, Galleria Lorcan O’Neill, Vicolo dei Catinari 3, Roma; info: www.lorcanoneill.com

Articoli correlati