Sten lui, Lex lei, entrambi nati nel 1982. Tra i più noti street artist italiani del momento, sono stati più volte consacrati anche all’estero. I loro pseudonimi derivano da stencil e legge, in riferimento a due diversi aspetti del loro lavoro. Dal 2001 la loro tecnica è in continua evoluzione, costantemente condizionata da un forte sguardo alle sperimentazioni. Introducono prima la Hole school, che applica la mezzatinta allo stencil, cambiandone la percezione in base alla distanza dell’osservatore. Poi iniziano a usare lo Stencil poster, processo da loro inventato che consiste nell’incollare al muro la matrice. L’azione degli agenti naturali svela in seguito l’interezza dell’opera, che con il passare del tempo si trasforma. A differenza dello stencil canonico, la tecnica della distruzione della matrice rende l’intervento non riproducibile e quindi unico. Sta per inaugurare alla Wunderkammern Matrici distrutte, personale del duo di artisti inserita all’interno del progetto Limitless. La mostra scomporrà il processo creativo di Sten Lex attraverso la presentazione di lavori su legno e opere su carta in edizione limitata. Prima dell’inaugurazione i due street artist inoltre realizzano una facciata a via Baracca, nei pressi della galleria, e altri interventi nello stesso quartiere. Li abbiamo intervistati per saperne di più
Alla Wunderkammern esponete delle opere realizzate per la galleria. Che significa per uno street artist abbandonare il muro?
«Per noi significa mostrare il lavoro che è dietro quei muri. Vuol dire concentrarci su progetti futuri attraverso esperimenti che potrebbero arricchirci, proprio com’è successo nel 2010 quando abbiamo scoperto la tecnica delle matrici distrutte, oggi al centro della mostra alla Wunderkammern».
A proposito della vostra tecnica, le matrici che si distruggono con il passare del tempo, come vi è venuta questa idea e perché?
«È un’idea nata nel 2010 per caso, mentre lavoravamo a una mostra personale appunto. Stavamo cercando un modo per far aderire perfettamente lo stencil al supporto da dipingere, decidemmo così di incollarlo. Mentre staccavamo la matrice dal pannello, dopo averlo dipinto, ci accorgemmo che lo stencil distrutto si integrava molto bene con il disegno. In seguito questo metodo si è reso utile per la realizzazione di stencil su pareti e in particolare per le facciate di grandi dimensioni. Dall’incompiutezza del processo è nata non solo un’estetica ma anche un concetto: la distruzione della matrice è messa in mostra per testimoniare la fine della sua riproducibilità».
Avete deciso di non essere riconoscibili, per ragioni connesse alla legalità, ma anche per distanziarvi dalla cultura pop. Perché l’anonimato è così importante per voi?
«L’anonimato nel microcosmo in cui operiamo è nato per ragioni di legalità, diventando la norma per molti street artist. In una fase intermedia è diventato addirittura una strategia per fare marketing, ma ora non è più così. Per noi l’anonimato serve a valorizzare l’opera d’arte, mettendo da parte il suo esecutore. Se l’identità dell’artista non viene resa pubblica, il discorso può incentrarsi unicamente sul suo lavoro. Ma nella realtà delle cose nessuno è veramente anonimo».
Cosa significa lavorare in coppia? Dal punto di vista pratico, lavorate in simbiosi creativa o vi dividete i compiti sulla base delle differenti attitudini?
«La realizzazione fisica dell’opera appartiene a entrambi in egual misura, mentre il processo di elaborazione mentale e progettuale viene sviluppato separatamente, seguendo una linea comune. Da quando abbiamo cominciato a realizzare lavori astratti godiamo di maggiore libertà nel percorrere più di un sentiero, possiamo allontanarci e poi ricongiungerci, ma siamo sempre due teste».
Quanto tempo ci vuole per ideare e realizzare un intervento murale?
«La media per realizzare una parete è 10 giorni di lavoro fisico più almeno un mese per ideare il progetto e renderlo realizzabile, molti progetti rimangono inespressi per anni».
È il muro che vi suggerisce l’opera o è l’opera che trova una naturale collocazione in un determinato luogo?
«Non solo il muro è importante, ma anche il contesto. A volte ci sono facciate nude e cieche che danno piena libertà. Più l’architettura è complessa, più siamo costretti a realizzare qualcosa che sia di rottura o in totale armonia con la struttura stessa».
Fate parte di un network di urban artist, anche internazionali, con cui siete in contatto per condividere esperienze e idee?
«Conosciamo alcuni artisti ma con pochi parliamo apertamente. È un ambiente che potrebbe sembrare comunitario perché ha questa parvenza nei costumi, in realtà ricalca nel bene e nel male i meccanismi dell’arte istituzionale, nascosto sotto vesti antisistemiche».
Se poteste scegliere un posto qualsiasi nel mondo, dove vorreste realizzare il vostro prossimo intervento?
«A Dubai, come un calciatore a fine carriera».
Dal 7 febbraio al 28 marzo, Wunderkammern, via Gabrio Serbelloni 124; info: www.wunderkammern.net
Foto di Giorgio Coen Cagli, courtesy Wunderkammern