«Le Fondazioni bancarie non stanno facendo quello che prevedeva la legge Amato-Ciampi, e cioè che esse dovessero ritirarsi dal sistema bancario per dedicarsi ad aiutare il nostro Paese a mantenere quel livello di welfare che abbiamo acquisito e che a causa della crisi stiamo perdendo». Parola di Emmanuele Francesco Maria Emanuele, presidente della fondazione Roma, intervistato ieri dall’AdnKronos. Uno degli uomini più influenti nel sistema culturale italiano, che negli anni ha promosso e sostenuto, grazie alla sua fondazione, progetti artistici di alto spessore, facendo di palazzo Sciarra e palazzo Cipolla, nel cuore della capitale, un crocevia delle esposizioni più interessanti e stimolanti degli ultimi anni (Andy Wahrol, il tesoro di San Gennaro, Edward Hopper, Norman Rockwell solo per citarne alcune). Quella lanciata da lui ieri pomeriggio è una critica a un sistema, quello delle fondazioni di origine bancaria, che avrebbe potuto fare molto di più per la cultura, la salute, la ricerca scientifica e l’istruzione. «Hanno fatto esattamente il contrario di quanto prevedeva la legge Amato-Ciampi – ha detto – rimanendo nel sistema bancario per più motivi, il più importante dei quali è certamente che le fondazioni, soprattutto nella fase cui faccio riferimento io, erano popolate soprattutto da politici di mestiere che avevano interesse a essere presenti nel sistema creditizio, che svolge anche un’opera di acquisizione di consenso». Una scelta che, secondo il presidente della fondazione Roma «non è stata vincente. Monte dei Paschi o Carige non mi pare brillino per i grandi risultati. Tutte le fondazioni sul territorio hanno problemi, con l’eccezione di Milano e Torino che hanno patrimoni talmente rilevanti da potere fronteggiare la crisi. Hanno commesso l’errore di continuare a lavorare in un settore di crisi manifesta, con una desertificazione in alcuni territori degli interventi previsti dalla legge Amato-Ciampi, perché non ci sono più risorse dalle banche. A questo si aggiunge – conclude Emanuele – l’incomprensibile decisione del Governo di aumentare le imposte sui dividendi degli istituti bancari».
E la fondazione Roma? «Grazie all’uscita dal sistema bancario previsto dalla legge Amato-Ciampi – ha detto Emanuele – ha arricchito il proprio patrimonio con altre forme di investimento. I risultati del rendimento finanziario 2014 sono così pari all’11,2% netto, con una disponibilità di 151 milioni di euro che ci consente di fare la nostra parte al meglio sul territorio. Già nel 2003 avevo capito che ci sarebbe stata una crisi del settore bancario, senza bisogno di aspettare il crollo di Lehmann Brothers». Perché allora le Fondazioni vengono accusate di non contribuire adeguatamente sul territorio? Il problema, secondo Emanuele, è che «il territorio molto spesso non è in grado di recepire correttamente le indicazioni dell’erogatore. Ad esempio noi abbiamo deciso di dare otto milioni di euro agli ospedali della regione Lazio e abbiamo dovuto aspettare nove mesi circa per avere la risposta dalla regione su quali fossero gli ospedali beneficiari del nostro intervento. Inoltre – aggiunge – sono due anni che tentiamo di costruire a Roma un villaggio dove i malati di Alzheimer possano essere assistiti gratuitamente. Il sindaco Marino, grazie alla sua sensibilità su questi temi, è intervenuto perché una delle richieste che ci era stata fatta era quella di esibire una certificazione che attestasse che per i prossimi duecento anni il Tevere non sarebbe esondato. Neppure fossimo Nostradamus!! Grazie all’intervento di Marino siamo riusciti a risolvere questo problema».
Emanuele ha infine illustrato gli altri progetti della fondazione Roma: «Sul campo della ricerca abbiamo allo studio un progetto di robotica per i malati di Sla e uno studio sulle malattie della retina con il nostro centro di ricerca oftalmologica, la fondazione Bietti. Nel campo dell’istruzione – ha aggiunto – oltre al master fatto per la formazione di personale adatto a dirigere gli spezi espositivi, abbiamo creato un’offerta per corsi di lingua araba, cinese e giapponese. Riguardo alla cultura, infine, il prossimo progetto è quello di una grande mostra sul Barocco a Roma diffusa nella città, anche con concerti ed eventi».
Poi ci sono i rapporti con il comune di Roma e la lungimiranza di un uomo cardine del terzo settore, sostenitore della teoria della big society che si scontra con le vedute più ”terrene” e obsolete dell’amministrazione pubblica: «Rapporti con il comune di Roma non ne ho, come non ne ho avuti nel passato e come ho fatto fatica ad averli nel tempo. L’unica collaborazione con il Campidoglio, a titolo personale e non della fondazione Roma, ha riguardato il palazzo delle Esposizioni e le Scuderie del Quirinale. Un’esperienza molto valida perché si tratta di due strutture emblematiche delle potenzialità di questo Paese nel settore culturale». Entrambe, insieme con la Casa del Jazz, fanno parte dell’Azienda Speciale Palaexpo. Una collaborazione che, da quanto sostiene Emanuele «si è spenta perché secondo me, fermo restando che la maggioranza e l’indirizzo dovessero essere del comune, tuttavia ai privati doveva essere concessa la possibilità di una gestione più moderna di quanto non consenta un’azienda speciale, che è un residuo del Pliocene del nostro intervento sulla cultura. Non esistono più aziende speciali, forse ne restano solo due in Italia. Avevo proposto di fare una fondazione – racconta – con maggioranza pubblica ma in cui se c’è il bilancio approvato a marzo dal cda, questa approvazione è subito operativa, diversamente da quello che accade per un’azienda speciale dove il bilancio approvato dal consiglio d’amministrazione deve poi attendere almeno un anno perché venga approvato a sua volta dal comune. Un anno di limbo nel quale nessuno ha il coraggio di programmare alcunché per timore di infrangere norme della contabilità comunale e nazionale. Questa mia proposta è stata letta male e quindi ci siamo salutati con garbo», ha concluso Emanuele.