Teknari, artigiano 2.0

Gif, stampe al bromuro di argento e libri cuciti a mano, Teknari è un artigiano 2.0 della fotografia.

Teknari è un vocabolo che viene da lontano, significa infatti “artista visivo” nel dialetto delle isole Faroe, regione autonoma del Regno di Danimarca. Hai scelto di chiamarti così per un legame con questo luogo?

«Accidenti non avevo la minima idea che significasse questo! In realtà è un termine che ho incontrato leggendo un articolo sull’ex Unione Sovietica un bel po’ di tempo fa, dopo la caduta del muro di Berlino: si parlava dei Teknari come di giovani tecnici esperti che riuscivano a sopravvivere nonostante le condizioni difficili di tutto il resto della popolazione. Così comprai il dominio perché mi piaceva molto la parola e il suo significato, per poi utilizzarlo anche come nom de guerre quando ho iniziato a fotografare».

Quindi a parte l’origine del nome, cos’è Teknari?

«Tutto è iniziato con l’obiettivo (e il desiderio) di creare il lavoro ideale, quello che avrei voluto trovare. Ora il lavoro è cambiato e sono io il prodotto finale, i manufatti digitali o tangibili che creo sono un modo di cambiare me stesso. Mi piace quello che divento quando realizzo i miei lavori».

Infatti ti esprimi utilizzando diverse tecniche e su vari media: fotografie, Gif animate, opere su grandi formati, libri.

«Penso ai mie lavori in base al medium su cui potranno essere rappresentati: un libro, l’online o una galleria. Ogni lavoro nasce con una destinazione ben definita, secondo me i lavori adatti a tutti i media si posizionano in una dimensione intermedia che spesso li relega alla mediocrità. Per l’online le Gif rappresentano il mio formato ideale, si collocano in una dimensione tra il video e l’immagine, una dimensione impossibile da ricreare altrove. Molti artisti stanno spopolando con lavori del genere, due anni fa nel quartiere di Wynwood, a Miami durante Art Basel c’è stata una mostra epica : Moving the Still».

Per i libri, invece?

«Secondo me, quella di stampare le fotografie non è più una soluzione convincente per la realizzazione di un libro. Capisco che l’amore di alcune persone per i libri ma ad essere sinceri, mettendo a confronto la visualizzazione delle immagini dei migliori libri di fotografia usciti quest’anno su un libro e su un tablet, il tablet non toglie nulla alla foto anzi, spesso la qualità dell’immagine è superiore nella visualizzazione sul display, piuttosto che su carta e in una stanza non adeguatamente illuminata. Per me ciò che rende un libro convincente è il lavoro artigianale che può esserci dietro, da parte di un artista. Pensiamo all’estetica di un diario, immaginando di trovarne per caso uno con parole, fotografie, disegni e pensieri scritti da qualcuno di cui non sappiamo nulla: la maggior parte di noi guarderà ad un oggetto del genere con riverenza, riconoscendone il valore indiscusso a prescindere dallo status dell’autore, una sorta di sacralità. Un diario o un giornale è il libro più interessante che l’artista possa creare, ed è quello che faccio io, il work in progress si può vedere sul mio sito. Alla fine dell’anno metto insieme con il filo le pagine, rilegandolo personalmente».

Come si svolge il tuo lavoro quando prepari le opere da portare in una galleria?

«La galleria è quel luogo in cui sfoderi il meglio. Le mostre in galleria sono delle esperienze importanti, si deve realizzare qualcosa che porti le persone a dire devi andare a vederlo, un’esperienza non fruibile in una fotografia dell’evento. Qualcosa per cui valga la pena di fare il viaggio, insomma».

Parliamo di fotografia: stanco del digitale, dal 2011 hai deciso di scattare solo in pellicola, passando alla stampa con gelatine al bromuro di argento per ottenere un lavoro più materico. Con la tua personale tecnica hai poi realizzato delle opere enormi, che a Maggio hai esposto a New York alla ABFA nella mostra Whatever Comes. Non si tratta di semplici fotografie, anzi la fotografia è solo l’inizio di un processo molto sofisticato.

«Le fotografie dello show erano stampate su lastre di vetro da mt 1,20 x 1,80 e ognuna pesava più di 45 kg, le ho montate dentro cornici in acciaio per sopportare il peso e retroilluminate.  Quindi ogni singolo lavoro pesava circa 90 kg e l’intero show più di un quintale. Ho dovuto inventare un modo per applicare l’emulsione in maniera uniforme su lastre di tale misura. Non credo sia mai stato fatto prima. Preparare lo show è stato molto impegnativo, anche fisicamente»

Scatti molte foto di nudo. Cos’è il corpo nudo per te?

«I nudi non rappresentano per me molto di più di quello che sono. Penso sinceramente che non ci sia niente di meglio da fotografare. Cosa dovrei fotografare? Pietre, alberi? Alcune persone le chiamano rocce e foreste, per me sono pietre e alberi. Il corpo è il soggetto migliore e gli artisti lo sanno da sempre, in Italia poi lo sapete molto bene. Come fotografo, il lavoro dovrebbe essere proprio quello di scattare soggetti difficili e i nudi lo sono particolarmente».

Tornando ai libri, Dreams of itself ed Eraser sono dedicati rispettivamente alle fotografie di Shibari e al nudo ironico e surrealista. Quale è il tuo atteggiamento verso l’universo dell’erotico?

«Guardando e scattando foto di nudo da tanto tempo, l’aspetto erotico è un qualcosa che non mi colpisce particolarmente. Anche davanti alla pornografia, mi ritrovo a fare commenti del tipo: la luce non va bene, oppure: avrebbero dovuto cropparla diversamente e altro. A volte mi capita di mostrare a qualcuno i miei lavori per la prima volta e mi piace osservare le reazioni di imbarazzo, eccitazione, shock, mi rendo conto di essermi spinto nella tana del Bianconiglio molto più in là di quanto gli altri abbiano potuto fare. Sono sempre stato lontano anni luce dal ragazzo che si eccitava per i Playboy nascosti sotto il letto di papà, per questo non considero nessuno dei miei lavori propriamente erotico, ma capisco che altre persone potrebbero. Il mio lavoro è tentare di fare sempre qualcosa che amo».

Da chi o da cosa ti senti particolarmente ispirato?

«Ispirazione è una brutta parola. Molte persone pensano che senza l’ispirazione non possa esserci lavoro. Ma non è vero, quello che succede in realtà è che prima lavori e dopo arriva l’ispirazione. A volte penso che forse le cose andrebbero meglio, se la parola ispirazione non esistesse. Se sei un fotografo tutto quello che devi fare è prendere una macchina fotografica e iniziare a scattare. La parte più difficile del lavoro creativo è prendere la penna, il pennello, la macchina fotografica e iniziare. Quando inizi fisicamente a fare queste azioni, l’ispirazione arriva. Appena sveglio, subito dopo aver mangiato e meditato, dedico ogni giorno almeno quattro ore alla creazione di nuovo materiale, è il mio lavoro e viene prima di tutto il resto».

Quale sarà il tuo prossimo progetto?

«Dopo aver chiuso il mio account Facebook, ho da poco iniziato ad utilizzare una mailing list per condividere le mie riflessioni e il mio materiale personale senza passare per il social network. Se vi va aggiungetemi qui http://teknari.com/email-signup».

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