Tra storia e mito: tre arazzi fiamminghi alla raccolta Lercaro

La tecnica dell’arazzo è davvero sorprendente. Milioni di fili colorati, passando attraverso mani esperte e pazienti, si tramutano in temi narrativi, in scene religiose o campestri, di caccia o pastorali, in giardini fiabeschi, in fiori o in frutta. L’arazzo ha conosciuto fortune alterne. Così, se nel Rinascimento e in età barocca l’arazzo era molto diffuso ed era segno di ricchezza e di potere, causa anche la sua facile deperibilità, è stato dimenticato per secoli, fino a essere riscoperto solo da poco tempo. Ricordo, a titolo di esempio, la grande mostra a palazzo Te a Mantova sugli arazzi dei Gonzaga nel 2010. Su questo tema, un’esposizione di particolare interesse si apre venerdì 19 settembre alle ore 18 alla Raccolta Lercaro di Bologna, con la visione al pubblico di tre splendidi arazzi antichi inediti, studiati da Nello Forti Grazzini. Sono lavori di manifattura fiamminga, provenienti dalla raccolta d’arte del cardinale Giacomo Lercaro. I tre arazzi entreranno a fare parte delle collezioni permanenti del museo bolognese, che annovera capolavori di maestri del Novecento come Balla, De Pisis, Manzù, Wildt, Morandi, Folon, Rouault, non solo. Recentemente, grazie a una serie di donazioni di artisti contemporanei come Ettore Spalletti, Giovanni Chiaramonte o William Xerra, la raccolta, iniziata dal cardinale Lercaro negli anni ‘70, perché la chiesa continui la sua missione culturale e spirituale attraverso l’arte, si sta notevolmente ampliando. Se il museo si è caratterizzato in questi decenni come galleria di arte moderna ora, accogliendo anche opere d’arte antica, sempre facenti parte delle collezioni dell’arcivescovo, si sta sempre più connotando come raccolta, come una vera e propria Wunderkammer.

Il recupero di questi tre arazzi ha una rilevanza del tutto particolare. Infatti, a Bologna, malgrado numerose testimonianze documentino nel passato la presenza in città di numerosi cicli di arazzi, oggi, rimangono ben poche tracce di questo patrimonio. Solo la basilica di san Petronio preserva ancora arazzi di sua antica pertinenza, come un frammento copri-leggìo raffigurante San Petronio e un ciclo di otto esemplari, rappresentanti la vita di San Pietro e le virtù, fabbricati tra il 1742 e il 1755, di manifattura romana (San Michele a Ripa), donati alla Basilica da Benedetto XIV. Dopo un lungo e complesso restauro eseguito dal laboratorio dell’Associazione Amici del Museo della Tappezzeria di Bologna e realizzato grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, gli arazzi possono ora rivelarsi in tutta la loro bellezza. Agli arazzi di san Petronio, potranno dunque affiancarsi d’ora in poi quelli fiamminghi della Raccolta Lercaro.

Il primo, di grandi dimensioni e ascrivibile all’inizio del XVII secolo, d’impronta ancora manierista, appartiene al ciclo delle storie di Marco Furio Camillo, politico e militare romano vissuto tra V e IV secolo a.C. Racconta un episodio avvenuto nell’anno 381 a.C. quando Camillo, sconfitto i Volsci e gli Equi, accorre col suo esercito in aiuto alla città romana di Sutri, assediata dagli Etruschi, liberandola. Gli altri due, di dimensioni leggermente ridotte, il cui autore è identificabile con Marcus De Vos, fiammingo, che dal 1655 al 1697 dirige un’importante manifattura a Bruxelles, produttrice di tappezzerie di alta qualità, sono riconducibili alla seconda metà del XVII secolo. Finemente tessuti, con colori accesi, dalle magnifiche tonalità di blu, di rossi, di rosa, di celesti e di panna, appartengono a un ciclo di cui non si aveva finora notizia, quello delle storie di Quinto Sertorio, politico e militare della tarda Repubblica romana. Le sue gesta, narrate da Plutarco e riportate dagli arazzi, narrano nel primo arazzo l’episodio del cerbiatto bianco, supposto comunicare a Sertorio i consigli della dea Diana, mentre nel secondo si racconta il momento in cui il comandante concede il bottino ai suoi soldati, stupefatti per i sontuosi beni loro concessi.

In un panorama culturale troppo spesso costellato da notizie di furti, di scempi e di distruzioni dei nostri beni artistici e culturali, questa riscoperta è di grande interesse, andando ad arricchire per importanza non solo il patrimonio della città felsina, ma anche quello italiano.