Natura onirica. La memoria degli oggetti

Testo tratto dal catalogo d’artista della mostra Natura onirica. La memoria degli oggetti di Pablo Mesa Capella, fino al 31 ottobre alla Galleria Emmeotto.

Di sicuro lo scherzo di uno studente. Sulla scrivania, il computer passava in esame i risultati dell’ultimo test. Ma dalla serie delle risposte multiple era evidente che non sarebbe potuto risalire al profilo del burlone di turno. Una volta, sulla porta della sua aula, aveva trovato scritto: de Finis pena mai. Sorrise. Ci risiamo. Poi con lo sguardo tornò a contemplare lo strano oggetto assemblato che gli era stato recapitato in forma anonima. Tra la polvere accumulata sulla sommità della campana di vetro, proprio in cima a tutto, si poteva scorgere una pagina dell’Hamlet di Shakespeare (Atto 3, scena 1). Molti dei suoi corsi si erano aperti con il dialogo dei due clown becchini. Questo confermava i suoi sospetti. ”Io li costringo a cimentarsi con le paure dell’uomo dell’era mortale e loro mi restituiscono la pariglia confezionando questo rompicapo. Un compitino davvero ben fatto, non c’è che dire!”. Rari i materiali, niente di quello che conteneva la campana, campana compresa, si produceva più da almeno cento anni. Gli elementi all’interno dell’involucro erano ben riconoscibili: un cranio umano, un castello di cartapesta, alcune stampe fotografiche ai sali d’argento ritagliate in modo da isolare i soggetti poi collocati nelle aperture disseminate con la moderazione tipica dei fortilizi antichi sui fianchi delle torri. Sul lato opposto un’altra carta fotosensibile impressionata, piegata al centro in modo da formare un cuneo, bastione o ariete ad uso di quest’architettura giocattolo.

Su ciascun volto di quella che era evidentemente una foto di gruppo era stato dipinto un teschio. Tutti uguali di fronte alla morte, proprio come nel passo dell’Amleto: Adamo, Alessandro, Amleto, e l’Anonimo le cui spoglie Amleto contempla. Nonostante gli evidenti richiami al dramma shakespeariano, il suo carattere ingenuo e didascalico, tipico dello studente appunto, c’era qualcosa in quell’oggetto che non gli permetteva di archiviarlo con la leggerezza che gli sarebbe spettata. Quel memento mori aveva intrappolato la sua attenzione, lui che per mestiere ogni giorno si sforzava di far entrare i suoi allievi nei panni mortali dell’uomo antico. Sfuggiva al professore che portava la fine nel nome il senso ultimo di questo messaggio nella bottiglia. Sentiva che c’era qualcosa che andava sciolto come un rebus, decrittato come un messaggio cifrato, adorato come una reliquia, temuto come una minaccia… una minaccia di morte per giunta. Stay in bell! ”Ma cosa dico? Da noi nessuno muore più!”. Si colpì la fronte con un gesto un po’ teatrale ma che servì a risvegliarlo. E a riportarlo nel suo tempo: l’eternità.

L’ultima morte era stata annunciata dal notiziario della sera quando il padre di suo padre era ancora un bambino, più come una curiosità da guinness dei primati che come una vittoria. La vita eternamente rinnovabile era allora l’ultima frontiera della biologia. Ma la vita eterna entrò nella vita degli uomini come uno dei tanti prodotti confezionati dalla scienza e dall’industria per rendere più confortevole la vita quotidiana. La morte dell’arte, quasi contemporanea, non fece notizia. Info: www.emmeotto.net

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