Giulia Bersani, Lovers

Gli autoscatti del suo blog ME sono popolari in tutta la rete così come il progetto Lovers, diventato un libro autoprodotto in 150 copie. Fluffer intervista la giovanissima fotografa milanese Giulia Bersani.

Raccontaci il tuo rapporto con l’arte (e con la fotografia).

«Penso che sia una questione di mente, qualcosa che si ha dentro con intensità maggiore o minore. Sono sempre stata fantasiosa e ho sempre sentito il bisogno di creare continuamente, in qualsiasi contesto. Insomma, in termini di rapporti direi che è un rapporto di dipendenza ma completamente sano: è più un mezzo attraverso cui vivo la quotidianità che qualcosa di esterno con cui rapportarmi. Sono anche una persona che pensa molto (spesso troppo) per cui il mio lato creativo mi aiuta a distrarmi».

Davanti e dietro l’obiettivo, una sensualità sussurrata e la capacità di rendere tangibili le atmosfere  di uno spazio intimo caratterizzano i tuoi scatti. Erotismo fa rima con innocenza?

«Nella mia testa sì. Non sopporto l’erotismo esplicito e diretto. Faccio fatica addirittura ad ammettere che uno dei temi (principali) delle mie foto sia l’erotismo perché non vorrei che venisse svelato».

Il progetto Lovers ti ha proiettata in una dimensione di coinvolgimento personale nei momenti privati di alcune coppie di amici, il tuo sguardo non era più solo esterno. Come ti sei posta di fronte a una una intimità di cui eri partecipe? 

«Mi sono posta come se loro non potessero vedermi, come osservatrice che, senza freni, cerca inquadrature in cui si ritrova personalmente. Un po’ come quando si guardano i film romantici. L’ effetto su di me più o meno era lo stesso; ogni volta che finivo uno shooting mi rimaneva addosso una sensazione di dolcezza esagerata».

Dopo Lovers, stai pensando alla prossima pubblicazione/a un nuovo progetto?

«Ho in programma diversi progetti. Lovers avrà una continuazione con un nuovo linguaggio ed una nuova chiave di lettura; in più sto lavorando ad un progetto di autoscatti in momenti normali di vita quotidiana e tra poche settimane uscirà un piccolo libro auto-pubblicato su un esperimento di story-telling per cui mi sono immersa nella realtà di una famiglia particolare che vive vicino a Napoli».

Il tuo amore per la pellicola e quello per le imperfezioni si assomigliano, entrambe le scelte ti mantengono lontana dai tentativi di ottenere un risultato prevedibile. La tua ricerca si svolge in una quotidianità semplice e spontanea, ti capita mai di porre dei limiti o addirittura censurare?

«I limiti me li pongo inconsciamente nel momento in cui scatto. Sono molto istintiva per cui se sento che una scena dovrebbe venire mostrata provo a fermarla e di solito la mostro. C’è da dire anche che nei momenti in assoluto più intimi non mi viene da pensare alle foto ma da viverli in prima persona. Se si osservano i miei autoscatti ad esempio si può capire che si tratta di momenti di contorno, non particolarmente importanti o emozionanti (ma appunto per questo molto personali, perché nella foto non ci sono grandi emozioni ed eventi ma solamente io)».

Parlaci di ME (ndr: il tuo blog di autoritratti vestita e non) e del desiderio di stare dall’altra parte dell’obiettivo.

«Non è proprio un desiderio, è più una curiosità legata alla necessità pratica di trattenere i miei momenti e lasciare un segno di questo mio periodo. lo vedo proprio come una documentazione della mia vita quotidiana, dei miei gesti e del mio corpo a ventun anni».

Senti mai l’esigenza di uscire dalle mura di casa e cercare i tuo scatti fuori, in mezzo alla gente?

«Sì, a volte per strada vedo delle persone o delle scene che vorrei fotografare ma alla fine non ne ho mai il coraggio (e quelle poche volte che mi butto rimango insoddisfatta, ne escono foto vuote). Forse è solo una scusa ma a volte è come se non mi sentissi in diritto di fotografare persone con cui non trascorro più di 5 minuti e di cui non so nulla. Da un altro lato c’è da dire che sono poco socievole e abbastanza insicura. Ho bisogno dei miei tempi e dei miei rituali per avvicinarmi alle persone».

Se le tue foto avessero una colonna sonora, quale sarebbe?

«Penso il silenzio con i rumori che ci sono davvero nel momento in cui si scatta. Niente di particolarmente intrusivo».