Se il Giappone si mostra

Non è semplice raccontare l’arte contemporanea di un paese come il Giappone, si rischia di cadere in facili cliché, di guardare la produzione espressiva di una nazione in base alle suggestioni visive a cui siamo stati educati, la cultura orientale possiede un fascino che ha a che fare con la sua impenetrabilità, con il difficile sistema linguistico che disorienta l’occidentale e che caratterizza non solo l’idioma ma il tessuto concettuale e filosofico di un popolo. The Pink Gaze è un progetto espositivo presentato al palazzo Collicola di Spoleto, al Museo nazionale di arte orientale Giuseppe Tucci di Roma, e al festival Roma Incontra il Mondo di Villa Ada, sotto la curatela di Valentina Gioia Levy direttore di Mnao contemporary, che vuole scardinare le credenze di un oriente mitologico e cerca di sondare in profondità la cultura contemporanea giapponese.

Quattro artiste, quattro prospettive espressive e cronologiche differenti fanno di questa mostra un’occasione importante per conoscere il mondo contemporaneo dell’estremo oriente. Atsuko Tanaka, Kazuko Miyamoto, Yoko Ono e Chiharu Shiota sono le protagoniste di una narrazione collettiva dove l’interazione generazionale di queste grandi donne dell’arte nipponica ha creato il campo percorribile di una nuova e inedita definizione stilistica ed estetica che ha dato vita all’odierna cultura giapponese. Atsuko Tanaka, scomparsa nel 2005, è uno dei fondatori del famigerato gruppo Zero. La sua estetica, legata a una generazione vissuta nel dopo guerra, risiede nella ricerca e nell’esplorazione del corpo femminile attraverso il rapporto legato allo spazio. Yoko Ono ha da sempre legato la sua ricerca espressiva alla musica. Moglie di John Lennon ha cominciato il suo percorso artistico aderendo al movimento Fluxus e alle contestazioni giovanili degli anni ’60. L’artista porta avanti anche dopo la scomparsa di Lennon il progetto War is Over (if you want) dogma del movimento pacifista. Nei suoi dipinti, presenti nella sede del museo orientale di Roma, Ono propone al pubblico una selezione di opere dove si confronta con la tradizione calligrafica giapponese. Di particolare pregio la selezione delle opere di Kazuko Miyamoto, nota ai più per la collaborazione con Sol LeWitt, in questa occasione, come ha spiegato la curatrice, vengono mostrati al pubblico dei lavori che sono molto distanti dalla consueta produzione geometrico – minimale, Miyamoto, infatti, interagisce con il simbolo per eccellenza del Giappone: il Kimono. L’artista utilizza l’abito tradizionale nipponico trasformandolo in opera d’arte, decontestualizzando dalla sua funzione originaria.

L’ultima protagonista di The Pink Gaze è l’artista Chiharu Shiota che rappresenta la generazione più giovane di questo progetto. Shiota nasce ad Osaka nel 1972, dopo aver effettuato i suoi studi in Giappone si trasferisce in Germania nel 1996 dove diviene un’allieva di Marina Abramovic. Shiota percorre differenti sentieri espressivi, dalla pittura alla performance giungendo fino alle sue famigerate installazioni ideate attraverso l’utilizzo di fili neri di lana che rendono lo spazio impenetrabile. Nei lavori di Shiota è presente il tema della memoria attraverso oggetti che ripercorrono ricordi ed emozioni: libri, pagine bianche, vestiti, finestre, letti ogni elemento utilizzato dall’artista descrive una soglia emozionale, una memoria collettiva da custodire.

In questa occasione Shiota presenta al pubblico delle opere pittoriche e dei video dove sono narrate alcune sue esperienze performative. Durante l’inaugurazione al museo nazionale d’arte orientale Giuseppe Tucci di Roma abbiamo avuto la possibilità di poter intervistare Shiota che ci ha consentito di sondare il suo percorso espressivo e ci ha regalato qualche anticipazione circa la sua futura partecipazione in rappresentanza del padiglione giapponese nella Biennale di Venezia del 2015.

Qual è stato il momento in cui hai compreso di voler lavorare con lo spazio, utilizzando anche la terza dimensione nelle tue installazioni?

«Il mio percorso artistico è iniziato studiando pittura ma a un certo punto mi sono resa conto dei limiti di lavorare solo attraverso la bidimensionalità. Per travalicare quei limiti ho compreso di dover cominciare ad appropriarmi dello spazio circostante e i fili, in questo senso, hanno rappresentato il modo di poter dipingere in un ambiente grazie alla modalità installativa».

Nei tuoi lavori ricorre spesso la tematica concernente la memoria. La narrazione riguarda una memoria di tipo collettivo o specificatamente il ricordo del tuo vissuto privato?

«Le mie opere raccontano di una memoria collettiva, ma allo stesso tempo in alcuni lavori ho utilizzato ricordi privati della mia vita. Quello che ad esempio ho in mente per la mia prossima installazione che verrà presentata alla Biennale di Venezia prende avvio dalla raccolta di migliaia di chiavi. La chiave è un simbolo della memoria, ma è anche la rappresentazione di un’opportunità, di un’occasione da raccogliere».

L’utilizzo dei fili di lana nera che sono al centro delle tue opere installative possiedono un particolare significato simbolico, cosa rappresentano nel tuo codice espressivo i fili con cui crei i tessuti spaziali dei tuoi lavori?

«I fili rappresentano i rapporti che intercorrono tra gli essere umani. Ogni filo crea dei nodi, dei grovigli intricati, proprio come nella realtà succede per i sentimenti che legano gli uomini. I fili collegano le persone, sono le congiunzioni visibili di emozioni umane».

Fino al 5 ottobre, museo Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci, via Merulana 248, Roma; info: www.museorientale.beniculturali.it