Sanba e Iacurci

È stato uno dei protagonisti di Sanba, Agostino Iacurci che insieme a Liquen ha realizzato due facciate nel quartiere della periferia romana San Basilio. Per l’occasione vi proponiamo un’intervista con l’artista e una photogallery sull’evento. «Non ho mai voluto un nome d’arte per un discorso di onestà, lavoro spesso a contatto con le persone e nello spazio pubblico e devo assumermi, a maggior ragione, le mie responsabilità». Agostino Iacurci è un artista cresciuto in seno all’attività di illustratore, un linguaggio che ha reso proprio anche attraverso i suoi interventi urbani dove ha iniziato a farsi notare nel panorama artistico internazionale. Un vocabolario che lui stesso definisce accessibile e sintetico improntato su tutto quello che lo circonda. Le sue opere, presenti nelle città di tutto il mondo, sono monumentali illustrazioni che colgono le radici, in certe immagini, del realismo espressionista tedesco della prima metà del Novecento. L’attività di questo artista originario di Foggia non può essere incasellata in una semplice definizione che afferisce al fenomeno della street art, i suoi mondi pittorici sono espressioni consapevoli di un’estetica onirica che affascina lo spettatore e arricchisce il tessuto urbano in maniera tangibile e concreta. «Parto da un percorso personale – racconta – iniziato nel ‘98, a 11 anni, con i graffiti, e proseguito con la passione per i fumetti underground. A causa di questi primi amori, a 18 anni, ho deciso che volevo fare dell’arte un lavoro e ho iniziato a interessarmi all’illustrazione. Venendo dalla provincia, ho sempre visto l’arte contemporanea come qualcosa di distante, slegato dalla realtà e di totalmente irraggiungibile, nell’illustrazione, invece, c’era qualcosa di più familiare e concreto, l’accesso ai libri è frequente nella mia vita ed è stato per me un modo per provare a fare arte e per avere in mano un mestiere. Mi sono trasferito a Roma per studiare e a un certo punto ho capito che quello che realmente mi interessava era costruire un linguaggio autonomo che potesse parlare di qualcosa che mi riguardasse da vicino, restituire la visione che ho della realtà. Sin da piccolo ero affascinato dall’operare nello spazio pubblico cittadino, così, dopo un paio d’anni d’interruzione, sono tornato a fare murales. Grazie all’incontro con Simone Pallotta ho cominciato a fare lavori piú grandi e su commissione, questo mi ha permesso di ragionare sul mio lavoro e sul contesto in cui andavo a intervenire. Nel 2006/7, anno in cui ho reintrapreso questo percorso, si ragionava sui cambiamenti stilistici che si stavano affacciando in questa scena, penso ad esempio al dibattito sull’utilizzo degli stencil e dei pennelli piuttosto che gli spray, il dibattito arte-vandalismo, graffiti-street art».

Cercare nel fenomeno dell’arte urbana le radici dell’immaginario di Iacurci è un processo complesso, come complicato diviene incasellare le diverse matrici espressive nate in seno a questa corrente artistica. «Quella degli street artist – spiega l’artista – è diventata una famiglia molto grande, tanto che tale definizione non riesce più a contenere le molteplici forme di espressione che si sviluppano in questo contesto. Ritengo il mio lavoro piú vicino al muralismo, quindi il discorso sull’istituzionalizzazione mi interessa relativamente. Credo che il fenomeno street art abbia in qualche modo messo in luce un bisogno di arte da parte di un nuovo pubblico che prima stentava a trovare riferimenti. Sta diventando un dato di fatto la percezione dello spazio urbano come un luogo in più dove poter lavorare, prima questa possibilità era un’esperienza limitata a un certo numero di persone che aveva intrapreso un percorso nato nel grembo dei graffiti. Oggi anche un artista proveniente da una formazione di stampo accademico valuta la possibilità di operare in un ambiente esterno che è sicuramente un luogo accessibile a tutti. Io vivo quella che viene chiamata street art come un circuito di artisti e appassionati che hanno una comune attenzione verso lo spazio urbano. Spesso e volentieri dietro un grande progetto ci sono piccoli gruppi di appassionati e volontari, a volte anche una sola persona».

Esiste un fattore fondamentale nell’operare in strada: ogni artista deve confrontarsi inevitabilmente con la transitorietà di un’opera, con gli effetti degradanti di un ambiente esterno esposto a qualsiasi tipo di deperimento. «Il mio approccio generale – dice Iacurci – è sempre stato caratterizzato da una componente effimera e transitoria con cui facevo i conti. Non ho mai avuto, specie in quella fase iniziale, la pretesa che le mie opere venissero conservate, perché non attribuivo ai miei interventi un valore artistico, mi sembrava presuntuoso preoccuparmi della salvaguardia dei miei lavori. La bellezza di quegli interventi risiedeva proprio nel fatto che fossero transitori, che rappresentassero la risposta a un’urgenza di comunicare piuttosto che a una visione oculata e a lungo termine. Oggi, sempre più spesso, mi sto ponendo il problema, soprattutto da quando ho cominciato a lavorare su superfici monumentali. L’intervento assume impatto diverso su grande dimensione e mi capita di lavorare in contesti complessi, come centri storici o zone fortemente popolate, in cui non è sufficiente pensare che qualsiasi cosa si faccia sia sempre meglio del muro grigio. In generale credo che ogni opera abbia una sua natura specifica, ma nel momento in cui si pone all’interno di percorsi di riqualificazione, valorizzazione o musealizzazione della città penso sia un atto di responsabilità porsi il problema riguardante la conservazione».All’età di 16 anni Iacurci scopre il realismo espressionista tedesco di Otto Dix e George Grosz, lo stile sintetico di questi autori influenzerà profondamente il suo universo visivo. «Quel tipo di universo iconografico credo sia un linguaggio fortemente espressivo, ma allo stesso tempo profondamente radicato nell’attualitá. Durante gli studi di illustrazione, mi ha colpito anche la figura di Munari per la libertà con cui attraversava le discipline, mantenendo una grande accessibilità e allo stesso tempo una profonda acutezza e ironia». Iacurci recentemente si è trasferito in Germania per lavoro e le sue opere sono presenti in diverse città europee, eppure nel nostro paese esiste una forte spinta propulsiva che sta facendo fiorire in molti contesti nazionali fenomeni di espressioni urbane. «Sono convinto – conclude – che l’Italia è un avamposto per quanto riguarda questo fenomeno, molti dei festival stranieri in cui sono stato, sono nati su dichiarata inspirazione del Fame festival di Grottaglie. Il nostro paese può vantare una bella tradizione di progetti che sono riusciti a porre attenzione verso questa corrente espressiva. Come dicevo, anche all’estero spesso i progetti sono fatti con budget minimi e almeno in questo, fare le cose anche con niente, siamo maestri».

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