Addio a Carla Accardi

Carla Accardi è morta ieri pomeriggio all’ospedale Santo Spirito dove era stata portata d’urgenza. Se ne va all’età di 89 anni con il solo peso dell’età. La storia dell’artista nata a Trapani il 9 ottobre 1924, inizia dalle lezioni saltate all’accademia di Belle arti di Firenze per andare a copiare il Beato Angelico nel convento di San Marco. Inizia, a ben vedere, da quel giorno un certo astio verso le imposizioni che la porterà a guidare l’epoca d’oro dell’arte italiana contemporanea. Fra una diserzione e l’altra, l’Accardi prepara i bagagli e si trasferisce a Roma, dove ha lavorato e vissuto fino ai suoi ultimi giorni.

Nella città eterna la giovane artista è ospite di Renato Guttuso, suo compaesano. In quell’atelier frequentato da giovani creativi, l’Accardi dipinge le sue prime Scomposizioni: tele pericolosamente astratte in un’italietta dove l’astrattismo era arte di destra. Nonostante le critiche, l’artista nel 1947 è tra i fondatori di Forma 1, ovvero la prima avanguardia italiana del dopoguerra con una missione squisitamente astratta senza per questo avere una motivazione politica. Partecipa alla mostre milanesi del Movimento per l’arte concreta e gravita intorno al gruppo Origine.

Insomma, in una fotografia di una mostra, di un vernissage o di un atelier fra gli anni ‘50 e ‘60 è impossibile non trovarla. Fedele alla linea, ma la linea non c’è, verrebbe da dire a guardare la sua arte che segue ostinatamente un percorso personale. Tele definite da segni curvi, a volte in bianco e nero come a negare ogni idea di pittura, a volte sobriamente colorate come a reinterpetare la tradizione. E poi, negli anni ‘60, il cammino sperimentale sul sicofoil, materiale trasparente che l’artista dipinge a formare le famose tende dove il colore si fonde con la forma a capanna e la luce definisce un nuovo spazio a metà fra l’esterno e l’interno.

E di nuovo un cambio di rotta, un ritorno alla tela dai formati più grandi dove l’artista, ormai libera da qualsiasi etichetta di stile, compone opere a pieno campo, composizioni dove il colore confonde lo spettatore che rimane intrappolato nelle curve dipinte. Con la sua opera ha partecipato a due biennali veneziane, quella del 1964 e quella del 1988, il Guggenheim di New York la chiama per la collettiva “The italian metamorphosis” del 1995, del 2011 è la personale a Catania a palazzo Valle. E pensare che voleva solo studiare il Beato Angelico.

Di seguito riportiamo un’intervista con Carla Accardi in occasione di una sua mostra romana alla Galleria Bonomo nel 2007.

«Carla Accardi ha un bello studio ordinato, nel cuore di Roma. Alle pareti, i suoi quadri testimoniano l’alta continuità creativa. Ci accoglie su un divanetto basso, sfoglia la rivista, e alla prima domanda ride, divertita: «Sì, una volta ho detto di aspirare all’antipittura. Volevo dire che per me dipingere è un’operazione forte: sono arrivata a servirmi di materiali particolari, non legati alla tradizione pittorica. Come il sicofoil che ha contraddistinto la mia produzione dalla metà degli anni ’60: poi hanno smesso di produrlo, così ho smesso anch’io di usarlo».

I suoi lavori emanano gioia e contrasto.

«Che emanino gioia sono felice. Direi comunque che è più un abbandonarsi ai ritmi della vita, sia nel quotidiano che in periodi più lunghi. Pensi che quando dipingo non ascolto musica, per non lasciarmi influenzare da ritmo e suoni. Ho attraversato diverse esperienze, ho cambiato spesso linguaggio: inizialmente facevo un tipo di segni, poi sono passata alla serie dei quadri “grigi”, più organizzati. Poi, come ho detto, al sicofoil per tornare, infine, alla tela».

Come quelle esposte alla galleria Bonomo?

«Infatti, sono i lavori degli ultimi due anni. Al Portico d’Ottavia espongo otto quadri di tela grezza, con segni molto più grandi del solito, realizzati per lo più utilizzando un solo colore».

Creando ambienti diversi, come le Tende?

«Quella è stata una tappa della mia poetica. Non credo più, oggi, che si possano costruire ambienti dove vivere diversamente».