Duomo di Milano, ascensore sì o no?

Le solite polemiche italiane. Da un lato si distrugge senza pietà il territorio italiano. Poco conta se si costruiscono orrende villette abusive nel parco «super tutelato» della via Appia o se si innalzano monumenti di artisti sconosciuti davanti alla Reggia di Caserta o vicino al Colosseo. Poco conta se a Roma ci gloriamo di una delle sculture più brutte del mondo, quella dedicata a papa Wojtyla in piazza dei Cinquecento. A niente vale se si distrugge dopo decenni un ecomostro nella splendida cala dei Turchi di Agrigento, per lasciare il posto a una frenesia del mattone (o del cemento) che ha fatto crescere come funghi una selva di costruzioni per vip, distruggendo per sempre la bellezza del luogo, per non parlare dei recenti ecomostri nei pressi di Taormina, solo per citare qualche caso. L’Italia appare oggi tragicamente immobile per quanto riguarda la possibilità di affrontare con intelligenza le sfide dello sviluppo di un territorio splendido e fragile allo stesso tempo. Sembra animatissima invece per quanto riguarda la promozione dello sfregio, del brutto, dello scempio, della speculazione immobiliare, di una insensata distruzione, per non parlare degli abusi edilizi sparsi in tutto il paese, compresi i luoghi più protetti dal punto di vista ambientale e culturale, senza che nessuno intervenga. Segno dei tempi? Di certo, sono segni di un’Italia che non sembra avere più molto da dire. Meglio, di un’Italia che ha abdicato da tempo alle proprie responsabilità etiche e culturali.

Non ci sorprendiamo quindi dell’ennesimo caso di polemiche tutte nostrane che hanno coinvolto recentemente il Duomo di Milano. Quando si cerca infatti di trovare soluzioni a problemi concreti e reali, in questo caso in vista di Expo 2015 con i suoi 20 milioni di turisti previsti, dei quali migliaia chiederanno di salire sul Duomo di Milano, allora l’unica parola legittima sembra essere «alt». Il caso riguarda il Duomo di Milano e una struttura hi-tech che dovrebbe permettere la salita alle terrazze dalle quali si domina la città. La struttura, secondo i progettisti, sarebbe collocata sul lato laterale della cattedrale, interamente smontabile e senza alcun impatto per il sottosuolo. Il committente del progetto è la Veneranda fabbrica del duomo.

Milano è chiaramente divisa in due. Le due fazioni, a suon di sciabolate, si contendono le ragioni migliori per vincere la sfida. Gli interventisti, in questo caso, partono sfavoriti: ancora pesa il giudizio sulla brutta scala di sicurezza realizzata da Marco Dezzi Bardeschi al palazzo della Ragione ormai alcuni anni fa. E, a dire, il vero, a distanza di anni, fatichiamo ancora oggi a digerire la pesantezza di un intervento che rifiuta (ahimé) qualunque dialogo con l’architettura pre-esistente in un luogo così delicato e ricco di sedimentazioni storiche.

Tuttavia, dimentichiamo che i casi più interessanti realizzati in Italia sembrano anche i più contestati, come le costruzioni a Roma del museo dell’Ara Pacis e della bella chiesa di Dio Padre Misericordioso di Richard Meier, malgrado sia al centro di continue polemiche, quando non ci si accorge che l’Italia è piena di chiese moderne brutte e indecorose, sulle quali occorrerebbe seriamente prendere posizione. Ma del resto, nel nostro paese, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, e ben poco coraggio.

In questo caso milanese, il progetto è stilato dall’architetto Paolo Caputo. Sull’impatto della costruzione, il progettista, lo riporta il Sole24ore, ha prestato una profonda attenzione al rapporto con l’architettura su cui insiste la nuova struttura: «Si tratta di un traliccio che definisce una figura che si allunga verso l’alto così da richiamare la tensione del Gotico. La stessa struttura si richiama al ramage, ancora quindi un tema caro al Gotico. Quanto allo stesso traliccio è poi del tutto autonomo rispetto all’edificio e le verifiche strutturali sono state fatte sulla base dei tralicci, ben più alti, già presenti nell’attuale restauro. Quindi sul fronte della sicurezza più che comprovati». È chiaro che il progetto dovrà essere valutato in tutti i suoi dettagli, estetici e strutturali. Di certo, andrà maggiormente studiato, forse modificato o addirittura dichiarato non opportuno. Forse un concorso internazionale si rivelerà necessario. Tuttavia, prima di assumere posizioni che appaiono senza appello, perché non valutare attentamente la validità o meno di un progetto, anche confrontandosi con la città, senza scadere in immobilismi che sembrano solo nascondere un falso rispetto per il passato? D’altronde, non è proprio Milano che ha accettato la sfida della contemporaneità con il Pirellone, la Torre Velasca o il tamburo di Mario Botta del Teatro della Scala, oggi divenuti simboli della città? Ai posteri l’ardua sentenza!