Arte fiera, barra a dritta in acque basse

Non è facile tenere la barra a dritta in tempi di marosi e acque basse come questi. Arte fiera, che ha appena chiuso i battenti a Bologna, sembra essere riuscita nell’intento. I numeri di questa edizione collocano la kermesse bolognese a ridosso di Artissima, che (dati 2013) a Torino ha portato 50mila visitatori negli spazi del Lingotto dov’erano collocate quasi duecento gallerie. Oltre 170 invece le gallerie allocate nel quartiere fieristico bolognese, 47.500 i visitatori (+ 15% rispetto all’edizione precedente) e un giro d’affari di 30 milioni di euro. Arcisoddisfatti il presidente Duccio Campagnolo e i direttori artistici dell’evento, come potete leggere dalle loro dichiarazioni nei pezzi a chiusura dell’evento. Noi di Insideart, scommettendo sull’assioma morettiano del “mi si nota di più se non ci sono o se resto in disparte”, abbiamo deciso di non esserci, come stand: fatto pressoché unico nel panorama delle riviste d’arte italiche.

A fare da cotée a quella che si conferma tra le più importanti fiere d’arte del Belpaese il solito trantran: folle di fagocitatori e perditempo che inciampano gli uni negli altri e alcuni sulle opere esposte, bimbetti accasciati nei carrozzini in balìa d’iperattivi genitori, o dimenticati dai suddetti sui divanetti. Gente che pare uscita da uno dei quadri appesi a prendersi una boccata d’aria, lì lì per rientrarci. Altra gente che dichiara sprezzantemente: «No, lì ci sono solo i quadri vecchi, non andiamoci», con buona pace di secoli di storia dell’arte e di paludati galleristi. Entusiasti che smaniano innanzi a ogni macchia di colore, sia pure d’intonaco. Altri a cui non affideresti la busta della spesa e, oplà, tirano fuori dallo zainetto, come ai tempi d’oro, migliaia d’euro in contanti, esentasse e appallottolati come un cartoccio da pizzeria.

E gli artisti? Beh, accanto ai soliti noti, ai Sironi & Boetti come se piovesse, agli immarcescibili ancorché stagliuzzati Burri & Fontana, una fola di proposte che tanto nuove non sono, soprattutto tra gli under 30, al punto che Libero Andreotti, così boterianio nei suoi altorilievi, o l’appena compianta Maria Lai, coi suoi merletti, sembrano avanguardisti. «Giocavo con gran serietà, a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte», recita una frase dell’artista sarda sul padiglione della Nuova galleria Morone che la espone. Grande Maria, riposa fiera e in pace in quel di Cardedu. Da un punto di vista meramente espositivo premiano le dimensioni, come per il soave Eden di Li Xinping alla galleria Osage di Hong Kong che rivisita gli arazzi rinascimentali in salsa cinese, o le grandi tele materiche di Giuseppe Maraniello; ma anche le minutaglie, come le operette grafiche in bianco e nero del russo Ivan Yazykov (della scuderia Saatchi) da Roza Azora, sorta d’impasto moderrno di Durer e Bosch, o i mattoni di Mirco Marchelli. Una spanna sopra le altre, a quel che è dato vedere, le sculture in metallo di Patrick Alò, i teatrini di legno di Peter Demetz; gli scatti di Yang Yong Hang con le sue bianche geishe perse in fantasmagorici paesaggi, o gli sguardi iranici di Gohar Dashti e di Maziar Mokhtari, fresco finalista al Talent prize. Ma l’elenco è lungo, e insistendo su pochi si fa torto a molti.

Degno di nota, infine, fuori dai cancelli, lo spirito che si respira sotto le Due torri nei giorni della fiera, a prescindere dai tanti eventi in cartellone tra controfiere e notti bianche: uno spirito glocal e una partecipazione davvero urbana. Da evento culturale cittadino, non riservato agli addetti ai lavori. Tra le tante iniziative in giro per la città, forse sotto tono rispetto alle aspettative Il piedistallo vuoto al museo archeologico di via dell’Archiginnasio, a cura di Marco Scotini, che intende fare il punto sull’arte post sovietica a partire dal monte opere nei musei italiani, ma non si spinge oltre qualche mesto sorriso rievocando, nella sedia vuota e giacca appesa del custode nell’opera all’ingresso (vedi foto di Vasco Forconi), la geniale performance di Alberto Sordi in una lontana parodia della contemporaneità. Meglio dirottare i passi, allora, tra le foglie morte dell’installazione di Giulia Manfredi, figlia del più noto Valerio Massimo – presente all’opening del 24 – allo Spazio 9 (via di Val d’Aposa 1/c, fino al 22 febbraio): Orizzonte d’abbandono, curata da Margherita Maccaferri. Se non siete refrattari all’odore di marcito del sottobosco, ne vale la pena.