Verdi vs Wagner

Giuseppe Verdi e Richard Wagner: una sfida lunga duecento anni. Il tempio della lirica dell’Operà de Paris presenta una mostra per  celebrare i due compositori, di cui ricorre il concomitante bicentenario di nascita: alla biblioteca-museo dell’Opera Garnier si ammirano costumi, partiture, manifesti e maquette delle scenografie che attestano l’intricato rapporto che i due geni ebbero con le scene dell’Operà di Parigi, meta ghiotta per ogni compositore di belcanto. L’esposizione si inserisce in una messe variegata di festeggiamenti: in tutta Europa si è data la caccia al titolo meno rappresentato, all’evento più originale per onorare la ricorrenza, dimostrando  quanto la vena musicale dei due artisti sia attuale.

Dai verdiani Don Carlos del 1867 e Aida del 1880, fino al wagneriano Tannhauser del 1861, sarà una promenade attraverso cimeli di capolavori  acclamati nel mondo. «Entrambi si nutrono della stessa ambizione: conquistare Parigi e la sua Opera – dice Mathias Auclair, uno dei curatori, assieme a Pierre Vidal e Simon Hatab. Verdi e Wagner dividono ancora la schiera dei melomani: sono nati entrambi nel 1813, a pochi mesi di distanza, ma le loro biografie, i temperamenti e le poetiche sono due universi opposti che mai trovarono coincidenza, tanto che, pur scrutandosi da lontano i due non si conobbero mai di persona. Esprimevano due culture potenti. Verdi rappresentò l’identità italiana nel momento aurorale del Risorgimento, Wagner invece, formatosi sulle note della grande tradizione tedesca di Gluck, Haydin e Mozart, si inserì nel monumentale alveo culturale della grande Germania. Italia e Germania  raggiunsero l’unificazione nazionale a solo un anno di distanza, e loro ne furono pregevoli cantori.

Fin dai primi anni di vita divergevano nelle esperienze: il primo ancora  bambino ricevette una solida educazione musicale e scoprì presto il suo talento. Wagner decise di consacrarsi alla musica  solo da grande, dopo aver assistito al Fidelio di Beethoven, da cui restò folgorato. Verdi, dal carattere tollerante e generoso, nacque nel ducato di Parma, allora annesso alla Francia, da cui trasse abbondanti influenze culturali, mentre Wagner, irascibile, megalomane e dissoluto, nacque a Lipsia, pochi mesi prima di Napoleone.

Come la mostra parigina insegna, anche le sorti all’Operà Garnier furono diverse: Verdi tornò dalla capitale francese come un eroe nazionale dopo il glorioso  debutto con Don Carlos nel 1867 al Theatre Lyrique de Paris. Per Wagner invece, inizialmente,  le cose non andarono altrettanto bene: Tannhauser, nel 1861,  a Parigi fu sonoramente fischiato, perché i francesi non riuscivano a gustare un tipo di dramma in musica così innovativo e lontano dalle rigide convenzioni liriche, a tal punto da non avere  il consueto balletto a cui quel tipo di pubblico teneva tanto. Verdi, sulla scia della tradizione melodica italiana, compose però anche opere memorabili per Parigi, al tempo vero cuore pulsante dell’Europa culturale. Tre opere con libretto francese, sul modello del Grand-Operà. Wagner voltò le spalle alla tradizione operistica germanica e teorizzò l’opera d’arte totale, un’unità di musica, canto, danza e poesia, in cui dava voce a storie dal sapore mitologico, dense di rimandi filosofici. Wagner morì di un colpo al cuore a Venezia nel 1883, Verdi nel 1901, al Grand Hotel de Milan.

Non si stimarono mai molto. L’italiano ascoltando la musica di Wagner disse: «Musica bella e chiara, quando vi è pensiero, ma l’azione corre lenta, come la parola; quindi noia. Molta verve, ma senza poesia e finezza». Se Verdi scrisse il Requiem per Manzoni, Wagner nella concezione dell’Anello dei Nibelunghi riecheggia Nietzsche. La partita tra i due iniziò a metà Ottocento quando nel pieno del monopolio verdiano Wagner andò in scena a Bologna con Lohengrin, ma a distanza di due secoli questo derby artistico e personale non prevede il fischio finale.